Il racconto è tutto costruito sui contrasti: luce-penombra, voci-silenzio, città-campagna, scienza-superstizione, scienziato-folla, genio-ottusità, sintonia con la natura-violenza alla natura: a differenza degli uomini, infatti, gli animali conservano ancora la capacità di avvertire il pericolo e la catastrofe imminente.
Rita Giuliani

Dov’è la fantascienza nelle Uova fatali? È in un “raggio rosso”, che fa crescere in modo abnorme e in tempi incredibilmente rapidi le cellule degli organismi colpiti. Il professor Persikov, eminente zoologo, esperto in anfibi e rettili, mentre osserva al microscopio alcune amebe, scopre che sotto l’effetto di un certo raggio, ottenuto in modo inatteso e misterioso, esse diventano più grosse, più vitali, più aggressive.
Una scoperta clamorosa, che in breve si diffonde: le autorità sovietiche non tardano a occuparsene.
Tanto più che proprio in quei giorni una funesta moria di galline si verifica in tutta l’Unione Sovietica.
Il vero discorso che attraversa Uova fatali, tra mille arguzie e mille scintillanti facezie, sta nell’inefficienza, nell’incompetenza, nell’arroganza boriosa della burocrazia che può distruggere tutto, anche le più geniali invenzioni.

Fausto Malcovati

Bersagli immediati di Bulgakov sono, a livello di satira spicciola, gli errori e le sviste dei burocrati che vanificano, in un risultato di grottesca e rovinosa mostruosità, la strombazzata fiducia nell’onnipotenza della scienza e nella presunzione dell’apparato politico che vorrebbe strumentalizzarla a fini di potere; ma, a un livello ulteriore e meno contingente, egli pone drammaticamente in luce la cronica sfasatura tra la retorica ottimista dei progetti di trasformazione e la sorda inerzia naturale di quello che dovrebbe essere il primo oggetto della trasformazione stessa, cioè l’uomo.
Persino il grande scienziato Persikov, giallo e ispirato Faust della nuova società, dimentica ogni suo sacrale attributo e depone ogni superbia davanti al biglietto da visita di un qualsiasi scribacchino al servizio della Ghepeù.

In questa situazione, l’arbitrio e l’assurdità finiscono per farla da padroni: le tecniche «nuove» applicate da uomini inguaribilmente «vecchi» non possono che produrre mostri, come appunto i serpenti nati, per un fatale errore burocratico di scambio di cassette, dalle uova che, secondo il progetto, avrebbero dovuto dare nuovo impulso all’avicultura rivoluzionaria.
Del resto lo strapotere burocratico e poliziesco traspare dal racconto come assolutamente invincibile. Anche la scienza deve chinare il capo davanti ad esso, come fa Persikov quando si deve rassegnare giocoforza a consegnare al kolchoz il «raggio rosso», il suo prodigioso apparato generatore di vita.
Giovanna Spendel

In Uova fatali la satira bulgakoviana non lascia spazio non solo ad eroi positivi, ma neanche a personaggi ricchi di personalità: nel racconto, infatti, non ci sono uomini, ma solamente caricature. Vi regna la bidimensionalità della vignetta.

A differenza di molte utopie novecentesche in cui l’azione si proietta in un futuro infinitamente lontano, l’azione di Uova fatali è immaginata in un futuro molto prossimo, nel 1928-29.
La trasposizione della vicenda nell’immediato futuro ha una funzione eminentemente satirica e si rivela pretesto per una serie di previsioni in stridente contrasto con la durezza della vita quotidiana, quali, ad esempio, l’ipotesi che nel 1928 a Mosca sia definitivamente risolta la crisi degli alloggi, che la città brulichi di autovetture segno di un benessere sociale stabilmente raggiunto e i negozi rimangano aperti fino alle tre di notte.

Il salto cronologico in avanti permette a Bulgakov di lanciare frecciate avvelenate all’indirizzo di Vsèvolod Mejerchòl’d,- il regista fautore dell’avvicinamento del teatro alle masse e del rinnovamento dell’arte scenica, teorico del sistema teatrale che va sotto il nome di “biomeccanica». Nel racconto Bulgakov dà notizia che Mejerchòl’d è morto nel 1927 nel corso di un allestimento biomeccanico del Boris Godunov a causa della caduta dei trapezi su cui volteggiavano boiari nudi.
Rita Giuliani

Poslednie Novosti del 29 gennaio 1919 scrive: Si dà notizia alla popolazione che a partire dal 28 gennaio contro i bolscevichi che hanno dichiarato guerra all’Ucraina verranno utilizzati raggi ultravioletti in grado di accecare anche chi ne venga colpito alle spalle.
A scanso di inutili vittime si consiglia vivamente alla popolazione di cercare riparo in cantine, scantinati o qualsivoglia luogo impenetrabile ai raggi suddetti
.

È assai probabile che il raggio rosso delle Uova fatali del professor Pérsikov si debba proprio a questa leggenda metropolitana.

Nei suoi ricordi Zajcev scrive che nell’estate del 1924 i destini di Bulgakov e Nedra (rivista letteraria fondata nel 1924 da Zajcev)  si incrociarono di nuovo.
Era molto dimagrito – scrive Zajcev – Metteva insieme qualche soldo scrivendo per alcuni giornali di poco conto e non se la passava affatto bene. Si sedette al tavolino accanto al mio, pensieroso. Prese a scarabocchiare qualcosa su un foglietto che aveva trovato.
Fu allora che mi venne un’idea.

“Senta,” gli dissi “non avrebbe qualcos’altro, per noi?”
Ci pensò qualche istante. “Avrei quasi pronto un racconto fantastico…” rispose.
Gli porsi un foglio bianco. “Scriva il titolo e chieda cento rubli di acconto sulla futura consegna. Quando me lo può portare?”
Rispose che lo avrei avuto nel giro di un paio di settimane.
Vidimai la sua richiesta e Bulgakov scappò a incassare al Mospoligraf (
e Poligraf Poligrafovič si chiamerà Šarikov di Cuore di cane).
Tornò dopo un quarto d’ora circa coi soldi in tasca e mi strinse calorosamente la mano. La settimana seguente mi portò
Le uova fatali».

Il processo di scrittura di Uova fatali è rimasto impresso anche nei ricordi di un altro memorialista. Anni dopo il figlio di Manasevič – matematico e letterato – riferirà di una curiosa conversazione telefonica: Quel giorno Bulgakov chiamò la redazione di Nedra e chiese un acconto (l’ennesimo!) per Uova fatali. Glielo negarono.
“Senta,” provò allora a convincerli “il racconto è finito. Devo solo batterlo a macchina… Come sarebbe che non ci crede? Aspetti, che le leggo il finale”.
Dopo un attimo di pausa nel quale finse di andare a recuperare i fogli, Bulgakov cominciò a improvvisare.
E lo fece con una disinvoltura tale, con frasi talmente fluide e compiute che davvero pareva leggesse un manoscritto ben rifinito. Un attimo dopo già usciva per andare a incassare.
Tra l’altro, il finale che inventò al telefono era molto diverso da quello a stampa.
Nella variante “telefonica” Mosca si svuotava perché minacciata da una schiera di giganteschi boa.
Nella versione a stampa, invece, i boa non arrivano alla capitale e muoiono per un’improvvisa gelata…».

L’episodio è significativo e verosimile: i manoscritti di Bulgakov dimostrano chiaramente che lo scrittore annotava sulla carta un testo già compiuto, che non conosceva “le doglie della parola” o il lungo riflettere su un foglio bianco: una volta individuata la trama, il tessuto lessicale nasceva rapido e senza fatica, il che non escludeva successive stesure, nelle quali capitava che riscrivesse tutto di sana pianta.

Marietta Kudakova, Michail Bulgakov. Cronaca di una vita

Ci furono scrittori gloriosi durante il periodo staliniano, e alcuni ritengono che Bulgakov sia stato il più grande.
Il Maestro e Margherita e La Guardia Bianca sono le sue opere più note, ma questo racconto, Uova fatali, è sconosciuto persino a chi ama la letteratura russa e la sua continua vitalità e inventiva.
Doris Lessing

Le storie del primo decennio post-rivoluzionario, che abbraccia il periodo della Guerra civile e del Comunismo di guerra (1917-1921) e i successivi anni di ricostruzione sotto la Nuova Politica Economica (NEP, 1921-1928), rispecchiano la carestia, i trasporti interrotti, le nuove regole che regolavano il matrimonio e il divorzio, la risposta dei contadini e della gente di città al nuovo governo e alla nuova moralità, la continua carenza di cibo e alloggi, la bassa qualità della produzione, le campagne per la temperanza e l’alfabetizzazione, gli sforzi per abolire la religione, l’effimera e frenetica prosperità della NEP e, già, l’incombente problema della burocrazia.

Gran parte della scrittura satirica del primo periodo era audacemente irriverente. Ma le voci di coloro che, pur non essendo ostili agli obiettivi del nuovo regime, insistevano nell’esprimere la propria visione del tempo e si rifiutavano di inserirsi nel quadro imposto da “Stato e Partito” non furono ascoltate a lungo. Con il consolidamento della dittatura, le voci indipendenti furono messe a tacere.
Mirra Ginsburg

lungo il percorso

Michail Zoščenko (1894 – 1958)

Con il certificato sono andato all’ufficio. E lì, pensate un po’, senza brighe e senza lungaggini mi consegnano la mia galoscia.
Quando ho indossato la galoscia mi sono commosso.
Ma guarda, penso, il sistema funziona. In un qualsiasi paese arretrato davvero avrebbero perso così tanto tempo dietro alla mia galoscia?
Ma l’avrebbero lanciata via, direttamente dal tram, ecco tutto. Invece qui non è passata nemmeno una settimana e me l’hanno restituita. Il sistema sì che funziona!
Michail Zoščenko, La galoscia


Io sono uno che può far tutto… Volendo, posso lavorare la terra secondo il grido dell’ultima tecnica, o volendo posso fare ogni mestiere, quello che è: nelle mani mie tutto fermenta e non sta mai fermo.
Se poi andiamo sulle materie astratte, che so, magari raccontare un racconto, o spiegare qualche faccenda un po’ più fina, non fate complimenti: per me è addirittura facilissimo e magnifico.
Mi ricordo che ho perfino curato della gente.
Be’, ma i racconti miei, si sa, son presi dalla vita, ed è tutta sacrosanta verità.

Dal punto di vista politico sono un uomo senza principi. Pace.
Di me stesso dico: non sono comunista, non sono un socialrivoluzionario e non sono monarchico, sono solo russo, e per di più politicamente amorale.