zweig new york

Il mio oggi è così differente dal mio ieri, le mie ascese dai miei crolli, che talvolta mi sembra di aver vissuta non una, ma molteplici esistenze totalmente staccate e diverse.
Spesso mi accade, se dico distrattamente: la mia vita, di domandarmi poi: quale vita?
Quella antecedente alla guerra mondiale, alla prima, o alla seconda, oppure la vita d’oggi?

VideoVideo racconto (link)

Quell’orribile condizione dell’essere senza patria, impossibile a spiegarsi a chi non l’abbia provata su sè medesimo, quel senso esasperante di procedere ad occhi aperti nel vuoto, sapendo che dovunque si appoggi il piede, ad ogni istante si può essere ricacciati indietro.

L'agonia della pace

Se calcolo tutti i formulari riempiti in questi anni, le dichiarazioni ad ogni viaggio, le denunce di tasse, i controlli di valuta, i passaggi di confine, i permessi di soggiorno e di partenza, le denunce all’entrata e all’uscita, se calcolo quante ore ho aspettato nelle anticamere di consolati e di uffici, di fronte a quanti impiegati ho dovuto sedermi, cortesi o scortesi, annoiati o innervositi, quante visite e interrogatori di confine ho subito, allora solo mi rendo conto di quanta dignità umana sia andata perduta in questo secolo, che noi in giovinezza avevamo sognato secolo di libertà, èra del cosmopolitismo.
L’agonia della pace (Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo)

 

il mondo di ieri

Dal canto mio, sono cosciente delle circostanze sfavorevoli del nostro tempo, in cui tento di dar forma a questi ricordi.
Li scrivo difatti nel mezzo della guerra, in un paese straniero e senza aver nulla che possa essere d’aiuto alla mia memoria.
Qui, non ho a disposizione nessuno dei miei libri, nessun appunto, nessuna lettera di amici.
E a nessuno posso chiedere notizie, poiché nel mondo intero la comunicazione via posta tra paese e paese è stata interrotta o è ostacolata dalla censura.

Viviamo isolati come centinaia di anni fa. Di tutto il mio passato non ho quindi nulla con me, se non ciò che mi porto appresso nella testa. Il resto, per ora, è per me irraggiungibile o perduto per sempre.
Ma la provvida arte di non rimpiangere il passato, la nostra generazione l’ha imparata a fondo, e forse l’assenza di dettagli e di documentazione alla fine potrà persino giovare a questo mio libro.
Difatti, non considero la nostra memoria come uno strumento che per caso conserva una cosa e per caso ne smarrisce un’altra, bensì come una forza che ordina con consapevolezza e cancella in maniera saggia.

03 impero absburgico or

Io sono in verità, divelto da tutte le radici, persino dalla terra di cui queste radici si nutrivano.
Sono nato nel 1881 in un grande possente impero, nella monarchia degli Absburgo, ma non si vada a cercarla sulla carta geografica: essa è sparita senza traccia.
Sono cresciuto a Vienna, metropoli supernazionale bimillenaria, e l’ho dovuta lasciare come un delinquente prima che essa venisse degradata a città provinciale tedesca.
La mia opera letteraria nella lingua in cui fu scritta fu ridotta in cenere, e proprio nel paese dove i miei libri si erano resi amici milioni di lettori, io ora non appartengo ad alcun luogo, sono dovunque uno straniero e tutt’al più un ospite; anche la vera patria che il mio cuore si era eletta, l’Europa, è perduta per me da quando per la seconda volta, con furia suicida, si dilania in una guerra fraterna.
Contro la mia volontà ho dovuto assistere alla più spaventosa sconfitta della ragione e al più selvaggio trionfo della brutalità, nell’ambito della storia.

Novella scacchi

I personaggi di Zweig sono figure an die Schwelle cioè sulla soglia: non ancora dentro la verità – o una verità – della propria esistenza, eppure posti in qualche modo di fronte a un interrogativo irrinunciabile del proprio destino.
Silvia Montis

La novella degli scacchi, probabilmente il miglior racconto di Zweig anche se dovrò ricordarne qui altri due, scritti molti anni prima, Sovvertimento dei sensi e Ventiquattrore della vita d’una donna.
I giocatori di questa drammatica partita a scacchi in mezzo all’oceano, a bordo di una nave in crociera verso le americhe, sono due personaggi fin troppo rappresentativi di opposte umanità. Essi non si conoscono né sanno nulla uno dell’altro, chi li conosce è il narratore della storia. Due destini lontanissimi e diversamente avvolti dal mistero, due storie distanti che il fato ha portato a convergere sulle 64 caselle bianche e nere, in una partita che è una resa dei conti con la vita. Perché «Non ci si rende già colpevoli di una limitazione offensiva, definendo gli scacchi “un gioco”?».
Dobbiamo il massimo rispetto alle intenzioni con cui fu scritta La novella degli scacchi, al suo senso tragico e testimoniale, non dissimile da quello che spinse Walter Benjamin a raccogliere negli stessi anni un catalogo di uomini tedeschi per ricordare cosa fosse stato lo spirito di quella nazione prima del nazismo.
Daniele Del Giudice

Mendel libri

Nella Vienna di inizio Novecento non c’è appassionato lettore, studioso, esperto bibliofilo che non sappia chi è Jakob Mendel, vero catalogo vivente di tutto ciò che su di un libro sia mai stato stampato.
Siede al tavolino di un vecchio caffè, dove ha installato il suo quartier generale e da dove prodiga la propria esperienza a chiunque gli faccia visita.
Ma la minaccia della guerra getta la sua ombra spettrale sull’Europa, sull’Austria e su ciò che Mendel ha di più prezioso.
Mendel non era più Mendel, come il mondo non era più il mondo.

Una testimonianza di cosa siano la memoria e il ricordo, un libro sui libri.
Creatura prodigiosa e rara seduto dinanzi ai suoi libri e le sue carte, dondolava il corpo avanti e indietro come gli avevano insegnato alla scuola talmudica, salmodiando. Tutto ciò che gli era attorno non esisteva; nulla poteva distoglierlo dalla lettura. Leggeva come altri pregano.
Patrizia Parnisari

Lei, l’ignorante, aveva almeno conservato un libro, per ricordarsi meglio di lui, mentre io, io per anni avevo dimenticato Mendel dei libri, proprio io che avrei dovuto sapere che i libri si fanno solo per legarsi agli uomini al di là del nostro breve respiro.
Mendel dei libri

Arendt Prochnick

Come ha fatto Stefan Zweig a rischiare di essere dimenticato?
Se la sua storia rivela parecchio della vita culturale nell’Europa prebellica, l’esilio fornisce una visione altrettanto provocatoria di ciò che accadde a quella stessa cultura quando venne tradotta nella lingua del Nuovo Mondo.
La vita di Zweig è importante per chiarire alcune delle principali questioni relative alla responsabilità dell’artista in tempi di crisi: il debito verso chi condivide le sue stesse sofferenze in rapporto al debito verso la propria musa; il ruolo della politica nell’arte; la funzione dell’arte nella formazione.
Le sue vicende, inoltre, sollevano diversi interrogativi sul nostro senso di appartenenza a un dato luogo, sulle responsabilità verso la famiglia e le proprie radici etniche.
George Prochnik

Nel suo ultimo libro, Stefan Zweig descrive una parte del mondo borghese – il mondo dei letterati, che l’aveva reso famoso e protetto dalle normali prove della vita.
Interessato soltanto alla dignità personale e alla sua arte, egli si è tenuto a tal punto lontano dalla politica da guardare alla catastrofe degli ultimi dieci anni come a un terremoto improvviso, mostruoso ed assurdo, nel bel mezzo del quale ha tentato di salvaguardare la sua dignità il più a lungo possibile.
Tuttavia, gli avvenimenti del 1933, che pure avevano profondamente cambiato la sua esistenza personale, non ebbero alcun effetto sui suoi criteri di vita abituali o sui suoi atteggiamenti verso il mondo e verso la vita.
Egli continuava a vantarsi della sua apoliticità; non gli venne mai in mente che, politicamente parlando, potesse costituire un onore rimanere al di fuori della legge quando tutti gli uomini non erano più uguali di fronte ad essa. Al contrario, si considerava “un gradino più in basso”, pensava di essere “scivolato in una… categoria inferiore”.
Hannah Arendt

Epistolario Roth Zweig

In una delle ultime lettere di Roth a Zweig, dopo che i due scrittori si incontrarono a Ostenda nel luglio 1936 (soggiorno a cui corrisponde la foto di copertina e che è l’unica che mostra i due scrittori insieme) c’è questa frase: Alla maniera delle ragazze e dei ragazzi di scuola, devo dirvi quanto mi è piaciuto stare con voi oggi […] e ve lo dico come ve lo avrei detto quando, a 18 anni, avevo tentato invano di trovarvi nella vostra casa a Vienna.

Il rapporto tra i due scrittori prese avvio dal desiderio di Roth di incontrare un già famoso Zweig, di cui ammirava racconti come Paura (1920), Ventiquattro ore nella vita di una donna (1925) o Sovvertimento dei sensi (1927); ammirazione che si trasformò ben presto in un’amicizia profonda e condivisa, consolidata da un intenso rapporto epistolare.

A partire dagli anni Trenta, l’incalzare degli eventi politici invade inevitabilmente la sfera privata e professionale dei due scrittori, che sono costretti ad affrontare l’asprezza del nuovo clima intellettuale imposto da Hitler, verso cui anche molti editori e autori ebrei mostrano un’ingenua, e fatale, indulgenza.
In lettere sincere e appassionate, i due amici si scambiano giudizi, impressioni e commenti, in cui la condizione privata si intreccia alla situazione generale.
A un Roth caustico e rabbioso, che esorta l’amico fraterno a reagire con più decisione all’incombere della barbarie, risponde uno Zweig più rassegnato e disilluso, che ha iniziato il tormentato peregrinare in giro per il mondo alla ricerca di un isolamento artistico e umano.

Leggere queste lettere significa immergersi in uno dei periodi più bui della civiltà europea, attraverso lo sguardo di due testimoni che vissero quegli anni con intatta dignità e commovente sofferenza.
Edizioni: Jede Freundschaft mit mir ist verderblich (Ed. Diogenes) – Correspondance: 1927-1938 (Ed. Rivages)
L’amicizia è la vera patria (Castelvecchi Editore)

 

L’amicizia tra Stefan Zweig (1881-1942) e Joseph Roth (1894-1939) ha pochi eguali nella storia della letteratura del Novecento.
Tutta l’intensità di questo rapporto, che sembra travalicare l’ambito meramente relazionale per assumere quasi un’identità spaziale laddove viene definita «wahre Heimat», ben sintetizza i contorni offuscati e al contempo pressoché sconfinati di una connessione intima, complicata, viscerale e a tratti morbosa, ma che proprio per questo risulta meritevole di attenzione.
Suggello letterario di questo rapporto sui generis è il carteggio di Zweig e Roth, una raccolta di oltre duecento lettere e cartoline che i due scrittori hanno intrattenuto nell’arco di più di un decennio (1927-1938).
Erika Capovilla – Freilich ist Freundschaft wahre Heimat ( Il carteggio di Stefan Zweig e Joseph Roth come patria spirituale – link )

Stolperstein Zweig Roth