Tornò al tavolo, intinse la penna nell’inchiostro e scrisse:
Al futuro o al passato, a un tempo in cui il pensiero sia libero, gli uomini siano gli uni diversi dagli altri e non vivano in solitudine … a un tempo in cui la verità esista e non sia possibile disfare ciò che è stato fatto.
Lui era già morto, gli venne fatto di pensare.
1984
Nessun libro è genuinamente libero da influenze politiche: l’opinione che l’arte non debba avere niente a che fare con la politica è di per sé una posizione politica.
Ogni riga di serio lavoro che ho scritto a partire dal 1936 è stata scritta, direttamente o indirettamente, contro il totalitarismo e a favore del socialismo democratico come io lo intendo.
E più si è consapevoli della propria posizione politica, più si ha la possibilità di agire politicamente senza sacrificare la propria integrità intellettuale ed estetica.
Quello che ho maggiormente cercato di fare negli ultimi dieci anni è stato di trasformare la scrittura politica in un’arte.
Scrivere un libro è una lotta orribile ed estenuante, come un lungo periodo di dolorosa malattia.
Non bisognerebbe mai intraprendere un’attività del genere a meno di non essere guidati da un qualche demone incomprensibile al quale non si può resistere.
E, tuttavia, è anche vero che non è possibile scrivere qualcosa di leggibile se non si lotta costantemente per tenere in disparte la propria personalità, dato che la buona prosa è trasparente come il vetro di una finestra.
Non sono in grado di dire con certezza quali siano le motivazioni più importanti per me, ma so bene quali sono quelle a cui dare seguito.
E riguardando la mia opera, mi accorgo che è invariabilmente lì dove ho trascurato l’intenzione politica che ho scritto libri privi di vita .
george orwell – perchè scrivo
Orwell ha anticipato non solo la divisione del mondo in zone di influenza con alleanze mutevoli a seconda dei casi, ma ha visto quello che di fatto oggi accade: che la guerra non è qualcosa che dovrà scoppiare, ma qualcosa che scoppia ogni giorno, in aree determinate, senza che nessuno pensi a soluzioni definitive, in modo che i tre grandi gruppi in contrasto possano lanciarsi avvertimenti, ricatti, inviti alla moderazione.
Non è che non muoia nessuno, anzi la morte di alcuni è messa in conto, così che la guerra da epidemica si fa endemica. Ha proprio ragione il Grande Fratello, “la guerra è pace”. La propaganda di Oceania una volta tanto non mente: dice una verità così oltraggiosa che nessuno riesce a capirla.
umberto eco, orwell o dell’energia visionaria
1984 è il testamento di uno scrittore che ha dedicato la vita alla difesa della libertà e della verità, denunciando tutte le perversioni politiche, dall’imperialismo all’ingiustizia sociale ai totalitarismi di ogni colore.
1984 è un potentissimo monito contro l’odio verso l’altro, contro le false informazioni, contro gli insulti all’immaginazione, contro le parole che non corrispondono a un pensiero.
Letto 1984, chiunque vedrà con chiarezza che l’errore socialmente più grave è il rifiuto dell’intelligenza.
nicola gardini
Per seguire le prescrizioni del medico, scelsi a bella posta una via … ed eccomi: una strada curva ai piedi del Muro Verde. Dallo sconfinato oceano verde oltre il Muro arrivava a me un’ondata selvaggia di radici, fiori, rami; sembrò impennarsi per sommergermi e far di me uomo, del più sottile e preciso dei meccanismi, chissà che cosa!…
Ma, per fortuna, tra me e il selvaggio oceano verde, c’era il vetro del Muro.
Oh, grande, divina saggezza dei muri che circondano e proteggono!
È questa, forse, la più grande di tutte le invenzioni!
L’uomo ha cessato di essere un animale selvaggio solo quando ha costruito il primo muro.
E l’uomo ha cessato di essere un uomo selvaggio, quando noi costruimmo il Muro Verde, quando con questo muro verde isolammo il nostro perfetto mondo meccanicizzato dal mondo irrazionale e mostruoso degli alberi, degli uccelli, degli animali.
d-503 ( noi, evgenij ivanovič zamjatin )
Pubblicato per la prima volta nel 1924, ma bandito dalla censura sovietica fin dal 1921, Noi è diventato il manifesto della letteratura distopica e a lui si sono liberamente ispirati autori come Aldous Huxley e George Orwell.
È la fine del terzo millennio, l’umanità vive in uno spazio ipermeccanizzato e socialmente ipercontrollato, chiuso dalla Muraglia Verde.
Gli individui non hanno più un nome, non sono persone, sono alfanumeri.
Il protagonista è un ingegnere che si chiama D-503, impegnato nella costruzione dell’Integrale, una colossale navicella spaziale destinata a esportare nel cosmo la gloria dello Stato Unico.
Noi immagina un futuro in cui il libero arbitrio sia stato abolito e la società rigidamente controllata.
Nello Stato Unico, inoltre, gli edifici sono interamente in vetro, in modo che la vita quotidiana dei cittadini possa essere costantemente controllata.
Sfogliando un compendio di letteratura sovietica, Orwell ha scoperto l’esistenza di Noi, romanzo degli anni Venti di Evgenij Ivanovič Zamjatin che nessun editore inglese ha pubblicato.
Non riesce a farsene una ragione, insiste con i suoi contatti per reperire una copia dell’edizione americana, e alla fine riesce a mettere le mani almeno sulla traduzione francese, Nous-autres, del 1929.
Il 4 gennaio del 1946 annuncia ai lettori di Tribune di essere finalmente riuscito a leggerlo.
Pochi mesi dopo, in agosto, inizierà a scrivere 1984.
Mi interessano i libri di questo tipo. Prendo appunti.
Prima o poi potrei scriverne uno anch’io.
Il libro di Zamjatin è molto significativo per la nostra attuale situazione.
Il protagonista è costantemente terrorizzato dagli impulsi atavici che lo afferrano.
Si innamora (il che è un crimine, ovviamente); quando esplode la rivolta risulta evidente che i nemici del Benefattore sono abbastanza numerosi, e che, oltre a complottare per rovesciare lo stato, si concedono vizi come il fumo e il bere.
Le autorità annunciano di aver scoperto la causa dei recenti disordini: alcuni esseri umani soffrono di una malattia chiamata “immaginazione”.
Ci sono molte esecuzioni nel mondo utopico di Zamjatin.
E le esecuzioni sono, di fatto, sacrifici umani, e la scena che le descrive assume deliberatamente i tratti di una sinistra civiltà schiavista del mondo antico.
È l’intuitiva comprensione del lato irrazionale del totalitarismo – sacrifici umani, crudeltà fine a se stessa, il culto di un capo dotato di attributi divini – a rendere il libro di Zamjatin più interessante di quello di Huxley: Zamjatin studia la Macchina, il genio che l’uomo, sconsideratamente, ha lasciato uscire dalla bottiglia e che non riesce più a rimettere dentro.
george orwell
Lo scopo di Orwell non è tratteggiare una repubblica democratica con il culto della personalità, ma evidenziare i danni irreparabili che un regime poliziesco può causare alla persona, al punto di annullarne ogni coscienza.
Nel desolato mondo di 1984, dove il popolo abita in stamberghe battezzate case della Vittoria, non vi è altro atteggiamento possibile che un ottimismo imposto dall’alto e controllato dagli onnipresenti schermi televisivi; né altro pensiero che la ripetizione degli slogan dipinti sui muri o vomitati dagli altoparlanti, né altro diversivo che l’odio a comando, i quarti d’ora o le settimane dell’odio: una strana società gestita con la paura, diretta con l’odio.
Orwell non si domanda neanche se una tale società sia possibile: gli uomini di questa seconda metà del XX secolo lo sanno fin troppo bene.
jean servier – storia dell’utopia
L’utopia riempie un vuoto fra un Paradiso Perduto e una Terra Promessa.
jean servier
Considero il pensiero politico di George Orwell come uno dei più grandi, al pari di quello consegnato da Machiavelli nel Principe, da La Boétie nel Discorso sulla servitù volontaria, da Hobbes nel Leviatano e da Rousseau nel Contratto sociale.
Orwell aiuta a pensare la politica partendo da un’ottica socialista e libertaria.
Il fatto però di aver scelto di esprimere le proprie idee solo attraverso romanzi e favole a soggetto animale ha fatto sì che i pensatori istituzionali non gli prestassero alcuna attenzione: la letteratura lo lascia ai filosofi e i pensatori lo lasciano agli studiosi di letteratura.
Il risultato è che nessuno se ne occupa veramente.
Nel frattempo, nei paesi in cui la gente si trova privata delle proprie libertà, lo si legge sotto banco.
michel onfray – orwell e l’impero di maastricht
Nel 1940 Orwell cominciò un saggio raccontando un episodio di detestabile brutalità cui aveva assistito nel porto di Colombo il suo primo giorno in Asia.
Un poliziotto bianco aveva sferrato un violento calcio a un coolie locale, suscitando mormorii di approvazione tra i passeggeri inglesi che guardavano.
Quegli osceni mormorii di approvazione, espressione della brutalità dei dominatori, sono la chiave della sua inscalfibile ostilità antimperialista.
Così inscalfibile che persino nei momenti supremi, nell’ora più buia della battaglia contro Hitler, quando la Gran Bretagna si ritrovò eroicamente sola – la Francia battuta, gli Stati Uniti ancora assenti, l’Unione Sovietica ancora complice del nazismo grazie al patto Molotov Ribbentrop – ad arginare in armi l’offensiva hitleriana, anche in questo caso in Orwell non prevalsero la logica e la retorica del fronte comune, del serrate i ranghi, del silenzio tattico che diventa permanente, del mettere da parte le differenze per non compromettere la coesione e la compattezza dello schieramento sentito come nostro.
Con la Fattoria degli animali Orwell non risparmiò gli attacchi all’URSS, che dal 1941 era un alleato potente e prezioso nella guerra contro Hitler: il massimo dell’inopportunità e dell’imprudenza.
Ma non cambiò atteggiamento nemmeno dopo, a conflitto concluso.
A una signora che alla fine della guerra gli aveva proposto di aderire a un’associazione contraria al dispotismo staliniano rispose infatti: Non mi sento di prender parte a un organismo fondamentalmente conservatore che si propone di difendere la democrazia in Europa, ma non ha niente da obiettare all’imperialismo britannico.