- 24 ottobre 2024
Joseph Roth (1894 – 1939) ovvero Lontano da dove
Il Leviatano pp. 115 (1940)
La leggenda del santo bevitore pp. 77 (1939)
- 21 novembre 2024
Stefan Zweig (1881 – 1942) ovvero L’agonia della pace
Mendel dei libri pp. 53 (1929)
Novella degli scacchi pp. 112 (1941)
L’agonia della pace (da Il mondo di ieri) pp. 46 (1941)
- 19 dicembre 2024
Mario Rigoni Stern (1921 – 2008) ovvero Alle radici dell’Altipiano
Il sergente nella neve pp. 134 (1953)
Stagioni pp. 128 (2006)
- 30 gennaio 2025
Antonio Tabucchi (1943 – 2012) ovvero A vida não basta
Che ore sono da voi pp. 10 (2009)
Requiem pp. 144 (1992)
- 20 febbraio 2025
Pino Roveredo (1954 – 2023) ovvero Capriole in salita
Mandami a dire pp. 171 (2005)
- 20 marzo 2025
Alice Munro (1931 – 2024) ovvero Il piacere di raccontare
Nemico, amico, amante … pp. 328 (2001)
- 24 aprile 2025
Beppe Fenoglio (1922 – 1963) ovvero An’t please you, deliver!
Racconti della guerra civile, del parentado e del paese, del dopoguerra
pp. 195 (1952 / 1962)
- 22 maggio 2025
Svetlana Aleksievic (1948) ovvero Un mondo di voci
Preghiera per Cernobyl. Cronaca del futuro pp. 293 (1997)
presentazione del percorso
Tra i grandi scrittori del Novecento, Joseph Roth è quello che più pervicacemente ha saputo tener fede alla figura del narratore. Raccontare storie disparate, intesserle, farle risuonare l’una con l’altra, fare dei propri racconti una grande casa con molte porte e molte stanze per molte specie di uomini: questo è il sogno che Roth perseguì in tutta la sua vita di scrittore.
Il Leviatano pp. 115 (1940)
Una indefinita nostalgia era nel suo cuore, non si sarebbe azzardato a darle un nome: Nissen Piczenik, nato e cresciuto in pieno continente, anelava al mare. Si, anelava al mare, sul cui fondo crescevano i coralli o piuttosto scorrazzavano – secondo la sua convinzione.
Il mercante di coralli

La leggenda del santo bevitore pp. 77 (1939)
Nel frattempo, giù s’era fatto scuro, mentre su, sopra i ponti e sul lungofiume, si accendevano i lampioni. Anche il signore ben vestito sparì nelle tenebre. A lui era realmente toccato in sorte il miracolo della conversione. E aveva deciso di condurre la vita dei più poveri. E per questo viveva sotto i ponti.
La leggenda del santo bevitore

Tutta l’opera di Stefan Zweig è lo sforzo di ampliare la propria visione culturale e di giungere a una coscienza europea.
Claudio Magris
Lei ha reso comprensibili nessi e qualità che finora non erano mai stati afferrati dalla parola.
A lungo mi sono torturato per stabilire un confronto con il Suo metodo di lavoro; ieri, sollecitato dalla visita di un amico, epigrafista e archeologo, finalmente ci sono riuscito. Si tratta dello stesso procedimento che si adotta per la riproduzione cartacea di un’iscrizione. Com’è noto si applica della carta bagnata sulla pietra su cui si pressa il foglio impregnato per farlo aderire alle più sottili scanalature.
Sigmund Freud

Mendel dei libri pp. 53 (1929)
Dov’era finito, che cosa mai gli era successo? Chiamai il cameriere e domandai. No, un signor Mendel – era spiacente – non lo conosceva, al momento un signore con questo nome non frequentava il caffè.
Mendel dei libri

Novella degli scacchi pp. 112 (1941)
Ad un tratto ci fu qualcosa di nuovo fra i due giocatori; una pericolosa tensione, un odio appassionato.
Non erano più due partner che volessero provare per gioco il loro talento l’uno contro l’altro, erano due nemici che avevano giurato di distruggersi a vicenda.
Novella degli scacchi

L’agonia della pace (da Il mondo di ieri) pp. 46 (1941)
La mia più intima missione, quella cui per quarant’anni avevo dedicato tutte le mie energie, tutte le mie convinzioni – un’Europa unita e in pace – era fallita. Ciò che io avevo temuto più della mia stessa morte, la guerra di tutti contro tutti, si stava ormai scatenando per la seconda volta.
L’agonia della pace da Il mondo di ieri
Il sergente nella neve è una delle poche opere epiche – capace, in questo grande respiro, di condannare l’orribile male della guerra rendendo insieme omaggio alle virtù di coraggio e solidarietà che pur vivono in essa – ma non a caso è più un’Odissea che un’Iliade.
Claudio Magris

Il sergente nella neve pp. 134 (1953)
Un passo dietro l’altro, un passo dietro l’altro, un passo dietro l’altro. Pareva di dover sprofondare con la faccia dentro la neve e soffocare con due coltelli piantati sotto le ascelle.
Ma quando finisce? Alpi, Albania, Russia. Quanti chilometri? Quanta neve? Quanto sonno? Quanta sete? È stato sempre così? Sarà sempre così?
Il sergente nella neve

Stagioni pp. 128 (2006)
In questi giorni è nevicato molto e sul mio tetto, sopra quella di dicembre, c’è più di un metro di neve fresca. Sono isolato dal paese. Da un libro traggo un foglio dove Andrea Zanzotto mi ha trascritto a mano una sua poesia: «Gelo: Stagione del candore / per le più variate nevi / mille stelle sorelle / verso me prendono il cammino».
Stagioni
Credo di aver capito una cosa, che le storie sono sempre più grandi di noi, ci capitarono e noi inconsapevolmente ne fummo protagonisti, ma il vero protagonista della storia che abbiamo vissuto non siamo noi, è la storia che abbiamo vissuto.
Antonio Tabucchi

Che ore sono da voi pp. 10 (1981/85/91 – 2009)
Si può essere, contemporaneamente, nell’ora e nell’allora. Si può intuire che il tempo è “una cosa rotonda”: “Sta lì e gira, e gira”. Non ha una sola dimensione: e in questi racconti non c’è un personaggio che non se ne avveda, che non colga un’occasione – fornita dall’immaginazione, dalla memoria, dal sogno – per saltare oltre il “tic-tac, tic-tac” di una pendola appesa nell’anticamera.
Paolo Di Paolo

Requiem pp. 144 (1992)
Se qualcuno mi chiedesse perché questa storia è stata scritta in portoghese, risponderei che una storia come questa avrebbe potuto essere scritta solo in portoghese: un luogo di affetto e di riflessione.
Se qualcuno osservasse che questo requiem non è stato eseguito con la solennità che a un requiem si deve, non potrei che essere d’accordo.
Ho voluto ancora una volta occuparmi della morte, come già avevo fatto nel Filo dell’orizzonte, o per meglio dire, dei morti, però a ben vedere stavolta l’ho fatto in un modo molto più disinvolto, perché credo che sia arrivato il momento di trattare questo tema con più allegria. I miei dialoghi sono allegri, perché mi sembra che i morti abbiano bisogno proprio di sapere che noi siamo felici, che la nostra vita continua piena di allegria, perché per loro magari questo significa continuare a vivere, in un certo senso, partecipando in qualche modo dell’allegria che la vita porta con sé.
Antonio Tabucchi
Roveredo è esperto dei graffiti che la vita incide, anche con sbadata crudeltà, sul volto e sul corpo degli uomini. Una singolare profondità e con una lingua tutta sua, né orecchiata né costruita, ma semplicemente necessaria, la sola con la quale egli può raccontare le sue storie e la sola con cui quelle storie possono essere raccontate. È entrato di forza nella letteratura.
Claudio Magris

Mandami a dire pp. 171 (2005)
La scrittura è l’ultima voce, la voce intima che può trovare il coraggio di scrivere, a volte fino a toccare ed a rovesciare il fondo della coscienza, e trasformare, in un impulso, quasi in un’energia fisica, che trova la scorciatoia per uscire dal male.
Pino Roveredo
Non pensai alla storia che avrei scritto – non a quella in particolare – ma al lavoro a cui volevo dedicarmi, più simile a una mano che acciuffi qualcosa nell’aria che alla costruzione di storie.
Ero la sola persona di mia conoscenza che scrivesse racconti, anche se non li raccontavo a nessuno, e per quanto ne sapessi, almeno per qualche tempo, ero la sola persona al mondo che fosse capace di farlo.
Alice Munro

Nemico, amico, amante … pp. 328 (2001)
Nove racconti, la musica del quotidiano, il gioco smorzato dei sentimenti e delle allusioni. Da Flannery O’Connor a Henry James, da Cechov a Tolstoj, non c’è un autore di racconti al quale Alice Munro non sia stata paragonata.
C’è una frase che Fenoglio scrive ripetutamente negli ultimi quaderni, una sorta di esergo per l’opera a cui sta lavorando, ma il suo significato si può facilmente estendere a tutto il lavoro.
È una frase che Fenoglio sembra voler ripetere a sé stesso, alla sua coscienza di uomo e di scrittore, una citazione dal Coriolano di Shakespeare. È la frase che il primo cittadino, portavoce del malcontento popolare rivolge al saggio e onesto Menenio Agrippa, quando questi, nel tentativo di calmare gli animi, di ricondurli alla ragione, propone di raccontar loro una storia:
Well, I’ll hear it, sir: yet you must not think to fob off our disgrace with a tale: but, an’t please you, deliver.
D’accordo, signore, vi ascolteremo: tuttavia non pensate di abbindolarci, di farci dimenticare la nostra disgrazia, di lenire le nostre pene, con una storia. Ma andate pure avanti se vi fa piacere, fate il vostro lavoro, raccontate la vostra storia; in una parola: deliver! – .
Che significa questo, ma anche dare alla luce.
Luca Bufano

Racconti della guerra civile, del parentado e del paese pp. 222 (1952 / 1962)
… portavano ricamato sul fazzoletto il nome di battaglia. La gente li leggeva come si leggono i numeri sulla schiena dei corridori ciclisti; lesse nomi romantici e formidabili, che andavano da Rolando a Dinamite.
Cogli uomini sfilarono le partigiane, in abiti maschili, e qui qualcuno tra la gente cominciò a mormorare: – Ahi, povera Italia! – perché queste ragazze avevano delle facce e un’andatura che i cittadini presero tutti a strizzar l’occhio. I comandanti, che su questo punto non si facevano illusioni, alla vigilia della calata avevano dato ordine che le partigiane restassero assolutamente sulle colline, ma quelle li avevano mandati a farsi fottere e s’erano scaraventate in città.
I ventitré giorni della città di Alba
Ci sono voci intorno a me, centinaia di voci, sono sempre con me. Fin dalla mia infanzia. Ho vissuto in un villaggio. Noi bambini amavano giocare all’aperto, ma quando calava la sera, le voci delle donne del villaggio che si radunavano stanche sulle panchine vicino alle loro case ci attiravano come calamite. Quando cammino per strada e colgo parole, frasi ed esclamazioni, mi dico sempre: quanti romanzi spariscono senza lasciare traccia! Spariscono nell’oscurità. C’è tutta una parte della vita umana, quella delle conversazioni, che non riusciamo a cogliere attraverso la letteratura. Non l’apprezziamo per il suo valore, non ci stupisce, non ci appassiona. Ma a me affascina, ne sono rimasta prigioniera. Adoro il modo in cui parlano le persone.
Svetlana Aleksievic

Preghiera per Cernobyl. Cronaca del futuro pp. 293 (1997)
Pareva ovvio che la società civile scegliesse un’altra via di sviluppo.
Lontana dall’atomica. L’era atomica doveva essere chiusa. Andavano cercate altre vie.
E invece continuiamo a vivere con la paura di Černobyl’: terre e case deserte, campi che tornano a essere foreste, animali che vivono là dove viveva l’uomo.
Centinaia di chilometri di cavi elettrici morti e di strade che non portano da nessuna parte.
Pensavo di avere scritto del passato. Invece era il futuro.
Preghiera per Cernobyl
