George Orwell 1

Quello che ho maggiormente cercato di fare negli ultimi 10 anni è stato di trasformare la scrittura politica in un’arte. Punto di partenza è sempre un sentimento di partigianeria, una sensibilità verso l’ingiustizia …
La mia prima preoccupazione è quella di essere ascoltato.
Ogni riga di serio lavoro che ho scritto a partire dal 1936 è stata scritta, direttamente o indirettamente, contro il totalitarismo.

George Orwell 2

Impiegai parecchio a definire i dettagli specifici della storia, finché un giorno (a quel tempo abitavo in un paesino di campagna) vidi un bambino di una decina d’anni che conduceva un colossale cavallo da tiro lungo un sentierino, frustandolo ogni volta che il cavallo cercava di cambiare direzione.
Di colpo mi venne da pensare che se gli animali fossero consapevoli della propria forza, noi non potremmo esercitare alcun potere su di loro.
E l’uomo sfrutta gli animali in modo molto simile a come i ricchi sfruttano il proletariato.
Così provai ad analizzare la teoria di Marx dalla prospettiva degli animali.
Dal loro punto di vista era evidente che il concetto di lotta di classe tra gli umani era pura apparenza, poiché ogni volta che si trattava di sfruttare gli animali, gli umani si univano tutti contro di loro.
La vera lotta era tra animali e umani.
Individuato il punto di partenza, non fu difficile elaborare il resto della storia.
Non la scrissi per intero fino al 1943.
Insomma, la trama e il concetto generale li ho rigirati nella mente per sei anni prima di avere il tempo di mettere il racconto nero su bianco.
Del libro non dirò nulla: se non si spiega da sé, significa che è un fiasco.
Desidero però sottolineare che, sebbene ispirata ai fatti della Rivoluzione russa, la trama li racconta in modo schematico e in un diverso ordine cronologico, una scelta necessaria ai fini della simmetria narrativa.

Prefazione all’edizione ucraina, 1947

Onfray Teoria

Quale lezione dobbiamo trarre da questa favola? La lezione è che la Rivoluzione è come Saturno e si mangia i propri figli; promette quello che non può mantenere, cioè felicità, pace, prosperità e fraternità; finisce sempre per produrre il contrario di quello che si era proposta all’inizio, e cioè infelicità, miseria, fame e guerra di tutti contro tutti.
Bisogna allora elaborare il lutto per qualsiasi tipo d’ideale? Dobbiamo acconsentire al peggio solo perché è inevitabile e ineluttabile? Dobbiamo farcene una ragione e tornare a essere pessimisti, misantropi, disfattisti e nemici del genere umano? Da nessuna parte Orwell ci dice qualcosa che possa portare a simili conclusioni.
La sua stessa vita prova il contrario, e la sua battaglia contro il totalitarismo ce ne dà la perfetta illustrazione: Orwell è stato un vero uomo di sinistra.

La sinistra di Orwell è una sinistra tragica e libertaria.

E poi, c’è l’asino Beniamino… L’asino rappresenta lo stesso Orwell in tutta la sua maestà.
Che cosa ci viene detto di Beniamino? «Beniamino era l’animale più vecchio della fattoria, e quello con il carattere peggiore. Parlava di rado, ma di norma quando apriva bocca era per fare qualche osservazione tagliente: per esempio diceva che Dio gli aveva dato la coda per scacciare le mosche, ma che avrebbe preferito non avere né coda né mosche. Di tutti gli animali della fattoria era l’unico che non rideva mai: se gli si chiedeva perché, rispondeva che non trovava nulla di cui ridere».
A differenza di tutti gli altri, analfabeti incapaci di imparare a leggere, e quindi anche di scrivere e di pensare, Beniamino sa leggere … fa quello che deve fare: osserva quello che sta succedendo, pensa quello che c’è da pensare, sa come sta la gente e come stanno le cose, conosce la natura umana e i ricorsi della storia, è consapevole di quella che è la vita e di come vada, e non si formalizza più di tanto: è un filosofo in tutti i sensi del termine.
Non lo si riesce ad attaccare ai calessi, è refrattario alla cavezza e al giogo.
L’asino salva l’umanità.

Chi può dire, oggi come oggi, di non essere d’accordo sul fatto che il ritratto del totalitarismo abbozzato da Orwell sia quasi un affresco dei nostri anni? Anche oggi, in effetti, la libertà è difesa male, la lingua messa sotto attacco, la verità cassata, la storia strumentalizzata, la natura bypassata, l’odio incoraggiato e l’imperialismo in marcia.
Quello che a noi viene presentato come un progresso è, in realtà, una marcia verso il nichilismo, un’avanzata verso il nulla, un movimento verso la distruzione.
È proprio come quando si parla del progresso di un tumore o di un’altra malattia che porta inesorabilmente alla morte.
Il culto che oggi tutte le persone che rivendicano a sé la qualifica di progressista votano al progresso per il semplice fatto di essere progresso, sembra quasi una genuflessione di fronte all’abisso un attimo prima di precipitare nei flutti, come le pecore di Panurgo … Il progresso è diventato un feticcio e il progressismo si è trasformato nella religione di un’epoca priva di esperienze del sacro, è diventato la speranza di questi tempi disperati, la credenza di una civiltà senza fede.

michel onfray

George Orwell 3

Che curiosa esperienza è stata quella di udire qui in sanatorio così tante voci con l’accento tipico della classe superiore inglese. Salvo un paio di eccezioni, non sentivo la loro parlata da circa due anni …
È stato come sentire le loro voci per la prima volta.
E che voci! Un timbro iper-pasciuto, un autocompiacimento fatuo, un costante ragliare di risatine sul nulla … persone simili – lo si avverte d’istinto, senza nemmeno bisogno di vederle – sono nemiche di tutto ciò che è intelligente, bello o delicato.
Non c’è da stupirsi che il mondo intero ci odi tanto.

George Orwell 4

Piantare un albero, specialmente se si tratta di una latifoglia, di quelle che vivono a lungo, è un modo per fare un regalo alla posterità: se l’albero mette radici, sopravvivrà di gran lunga agli effetti di qualsiasi vostra azione, buona o malvagia che sia.
Un melo può vivere fino a cent’anni, quindi il Cox che ho piantato nel 1936 potrebbe dare ancora frutti nel ventunesimo secolo.
Una quercia o un faggio possono vivere per centinaia di anni e regalare piacere a migliaia o decine di migliaia di persone prima di essere tagliati per diventare legname.
Non sarebbe una cattiva idea se, ogni volta che commetti un atto antisociale, tu lo annotassi nel tuo diario e poi, nel momento giusto della stagione, piantassi una ghianda nel terreno.

Hillman

… George Orwell, scrittore, e Hannah Arendt, filosofa, scrivendo del male totalitario e in particolare dei sistematici stermini perpetrati dal nazismo, sono giunti alla medesima conclusione: che il male non è, come ci aspetteremmo, la crudeltà, la perversione morale, l’abuso del potere, il terrore.
Questi sono gli strumenti del male o i suoi effetti.
No, il male più profondo del sistema totalitario è precisamente ciò che lo fa funzionare: la sua efficienza programmata, monomaniacale e monotona; il formalismo della burocrazia, le ottundenti prestazioni lavorative quotidiane, conformi al regolamento, noiose, precise alla virgola, generiche, uniformi.
Nessun pensiero, nessuna reattività: Eichmann.
La forma senza Anima diventa formalismo, conformismo, formalità, formule, formulari burocratici: forme senza lucentezza, senza la presenza del corpo.
Sigle invece di parole, società anonime.
E intanto la bellezza è segregata nel ghetto delle cose belle: musei, ministero della cultura, musica classica, la stanza buia della canonica: Afrodite imprigionata.

james hillman – l’anima del mondo e il pensiero del cuore

 

 

Arendt

Le origini del totalitarismo venne scritto negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, nel «primo periodo di relativa calma dopo decenni di tumulto, confusione e orrore».
Il manoscritto originale venne terminato nell’autunno del 1949 e la prima edizione apparve nel 1951.
Come scrive la Arendt nella prefazione alla edizione riveduta del libro nel 1966, «era il primo momento adatto per meditare sugli avvenimenti contemporanei con lo sguardo retrospettivo dello storico e lo zelo del politologo, la prima occasione per cercar di narrare e comprendere quanto era avvenuto… ancora con angoscia e dolore…, ma non più con un senso di muta indignazione e orrore impotente».

Il contributo del libro è duplice: da un lato cerca di ricostruire il processo di genesi del totalitarismo rivisitando la storia europea recente e in particolare il periodo che va dagli anni ’80 del secolo scorso alla seconda guerra mondiale e costruendo uno schema interpretative incentrato sul declino dello stato nazionale, l’emancipazione politica della borghesia nell’imperialismo, l’antisemitismo e lo sviluppo dei movimenti pan-germanici e pan-slavi, l’avvento della società di massa; dall’altro, analizza la dinamica dei movimenti totalitari prima e dopo la conquista del potere e costruisce un «tipo ideale» di regime totalitario, caratterizzato dalla particolare combinazione di ideologia, terrore e organizzazione del partito unico.

alberto martinelli

Nei precedenti capitoli abbiamo ripetutamente sottolineato come il totalitarismo sia, oltre che più radicale, essenzialmente diverso da altre forme conosciute di oppressione politica come il dispotismo, la tirannide e la dittatura.
Dovunque è giunto al potere, esso ha creato istituzioni assolutamente nuove e distrutto tutte le tradizioni sociali, giuridiche e politiche del paese.
A prescindere dalla specifica matrice nazionale e dalla particolare fonte ideologica, ha trasformato le classi in masse, sostituito il sistema dei partiti non con la dittatura del partito unico, ma con un movimento di massa, trasferito il centro del potere dall’esercito alla polizia e perseguito una politica estera apertamente diretta al dominio del mondo.
Quando i sistemi monopartitici, da cui esso si è sviluppato, sono diventati veramente totalitari, hanno cominciato ad operare secondo una scala di valori così radicalmente diversa da ogni altra che nessuna delle categorie tradizionali, giuridiche, morali o del buon senso, poteva più servire per giudicare, o prevedere, la loro azione.

hannah arendt