Uno scrittore era l’ultima cosa che mi aspettavo di essere.
Quando ho iniziato a scrivere, questa sensazione che avrei dovuto fare qualcos’altro, qualcosa di più importante, è diminuita.
È un po’ come chi ama viaggiare, ama visitare città straniere.
Non ti dirà che ama gli aeroplani, eppure ci passa molto tempo.
È così che mi sento nello scrivere: è l’aereo, non la destinazione.
Jonathan Safran Foer
Io non ti comanderei mai di scrivere una storia come è capitata nel reale, ma ti comanderei di rendere la tua storia fedele.
Lettera di Alex a Jonathan – Ogni cosa è illuminata
Volevo vagare, inventare, usare ciò che avevo visto come una tela, piuttosto che utilizzare i colori. Ma, mi chiedevo, l’esperienza della mia famiglia dell’Olocausto è esattamente quella che non può e non deve essere immaginata? Quali sono le proprie responsabilità nei confronti della “verità” di un evento così traumatico e qual è la “verità”? L’accuratezza storica può essere sostituita con l’accuratezza immaginativa?
Jonathan Safran Foer – The Guardian (2010)
Quella sera sono rimasto alzato fino a tardi a creare gioielli. Ho progettato una Cavigliera per Escursioni nella Natura, che mentre cammini lascia una traccia giallo brillante, così se uno si perde può trovare la strada del ritorno. Ho disegnato anche delle fedi nuziali che captano il polso di chi le porta e mandano un segnale all’altro anello, con una luce rossa intermittente che corrisponde ai battiti del cuore. E poi ho progettato un braccialetto piuttosto affascinante: per un anno metti una fascia di gomma attorno al tuo libro di poesie preferito, e poi la levi e te la metti al braccio.
Mi nascosi dietro un cumulo di terra tolta dal suolo per scavare la tomba ad alcuni vecchi libri, la letteratura era l’unica religione che suo padre praticasse, quando un libro cadeva per terra lo baciava, finito un libro cercava di regalarlo a qualcuno che lo potesse amare e se non trovava nessuno lo seppelliva.
Molto forte incredibilmente vicino
Questa storia non è cominciata sotto forma di libro.
Volevo solo sapere – per me stesso e per la mia famiglia – che cos’è la carne.
Volevo saperlo nel modo più concreto possibile.
Da dove viene? Com’è prodotta? Come sono trattati gli animali e in che misura è importante? Quali effetti ha mangiare gli animali sul piano economico, sociale e ambientale?
La mia indagine personale non è rimasta a lungo tale.
I miei scrupoli di genitore mi hanno messo di fronte a fatti che come cittadino non potevo ignorare e che come scrittore non potevo tenere per me.
Questo mi riporta all’immagine di Kafka in piedi di fronte ai pesci all’acquario di Berlino, quei pesci su cui cadde il suo sguardo con pace ritrovata dopo aver deciso di non mangiare più animali.
Kafka riconobbe quei pesci come membri della sua famiglia invisibile; non come suoi pari, certo, ma come esseri viventi di cui gli importava.
Ho avuto un’esperienza simile al Paradise Locker Meats.
Non ero esattamente «in pace» quando lo sguardo di un maiale che si avviava all’abbattimento nella sala di macellazione di Mario, gli ultimi secondi di vita davanti a sé, mi colse alla sprovvista.
SE NIENTE IMPORTA perché mangiamo gli animali?
Qualcuno si ostina a liquidare i cambiamenti climatici come fake news, ma la gran parte di noi è ben consapevole che se non modifichiamo radicalmente le nostre abitudini l’umanità andrà incontro al rischio dell’estinzione di massa.
Lo sappiamo, eppure non riusciamo a crederci. E di conseguenza non riusciamo ad agire. Il problema è che l’emergenza ambientale non è una storia facile da raccontare e, soprattutto, non è una buona storia: non spaventa, non affascina, non coinvolge abbastanza da indurci a cambiare la nostra vita.
Per questo rimaniamo indifferenti, o paralizzati: la stessa reazione che suscitò Jan Karski, il «testimone inascoltato», quando cercò di svelare l’orrore dell’Olocausto e non fu creduto.
Possiamo salvare il mondo prima di cena, perché il clima siamo noi
Questo libro parla dell’impatto dell’allevamento sull’ambiente.
Eppure sono riuscito a nasconderlo per le 75 pagine precedenti.
Mi sono tenuto alla larga da questo tema per gli stessi motivi per cui l’hanno fatto Gore e tanti altri: la paura che sia una battaglia persa in partenza.
La tesi di questo libro è che serve un’azione collettiva per cambiare il nostro modo di mangiare.
Nessun lattante sa che è l’ultima volta che gli viene tolto di bocca il capezzolo.
Nessun bambino sa che è l’ultima volta che chiama sua madre «mami».
Nessun ragazzino sa che il libro si sta chiudendo sull’ultima fiaba della buona notte che gli sarà mai letta.
Nessun fratello sa che la vasca si sta riempiendo per l’ultimo bagno che farà mai col fratello.
Nessun ragazzo sa, la prima volta che arriva al culmine del piacere, che da quel momento tutto per lui sarà collegato al sesso.
Nessuna donna sulla soglia della pubertà sa, mentre dorme, che ci vorranno quattro decenni prima che si svegli di nuovo infertile.
Nessuna madre sa che sta sentendo la parola «mami» per l’ultima volta.
Nessun padre sa che il libro si è chiuso sull’ultima fiaba della buona notte che leggerà mai: Da quel giorno, e per molti anni a venire, la pace regnò nell’isola di Itaca e gli dei guardarono con favore Ulisse, sua moglie e suo figlio.
Eccomi
“L’America è una nazione di immigrati. La nostra identità culturale è minima. Ci definiamo con forza americani, ma questo, per me, rappresenta più che altro una forma di illusione”
Liev Schreiber, 2005
Presentato nella sezione Orizzonti della 62° Mostra del Cinema di Venezia, Everything is illuminated – Ogni cosa è illuminata è l’esordio alla regia dell’attore Liev Schreiber, ebreo di origini ucraine come il protagonista dell’omonimo romanzo di Jonathan Safran Foer, da cui il film è tratto.
Il libro, scritto quando l’autore, allievo di Joyce Carol Oates, aveva solo 22 anni, è la storia parallela della ricerca delle proprie radici da parte di un giovane americano in Ucraina e quella del villaggio di Trachimbrod nel corso dei secoli, fino alla sua estinzione.
La complessa struttura del libro è stata semplificata da Schreiber, che ha curato anche l’adattamento, tralasciando la storia dello shtelet ucraino, concentrandosi invece sul viaggio iniziatico sulla Trabant azzurra, che diventerà l’immaginario romanzo “A very rigid search”.
Jonathan, interpretato da Elijah Wood, si imbarca nell’ ‘Heritage Tour’, per scoprire cosa si cela dietro una foto del nonno, Safran Foer, in un campo di girasoli insieme ad una ragazza di nome Augustine, scattata nella misteriosa cittadina ucraina di Trachimbrod nel 1940.
Michele Gottardi
Ogni cosa è illuminata (audiolibro) legge Andrea Oldani – Intervista a Jonathan Safran Foer (estratto – video link)
Il mio nome per la legge è Alexander Perchov.
Ma tutti i miei amici mi chiamano Alex, perché è una versione del nome più flaccida da pronunciare. Mia madre mi chiama Alexi-basta-di-ammorbarmi perché sempre la ammorbo.
Se volete sapere perché sempre la ammorbo, è perché sempre sono in altri posti con amici, e seminando tanta moneta e eseguendo così tante cose che possono ammorbare mia madre.
Mio padre mi chiamava Shapka per il cappello di pelliccia che calzavo in testa anche nei mesi d’estate.
Poi ha smesso di dirmi così perché gli ho ordinato di smettere di dire così.
Mi sembrava un nome bambinoso, e io invece mi sono sempre pensato un uomo molto potente e inseminativo.
Ogni cosa è illuminata

Perchè mangiando meno carne salveremo il mondo? (video – link)