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Mi sono rimesso al lavoro, anche se il pennello mi cade quasi di mano, e sapendo perfettamente ciò che volevo, ho ancora dipinto tre grandi tele. Sono immense distese di grano sotto cieli tormentati, e non ho avuto difficoltà per cercare di esprimere la mia tristezza, l’estrema solitudine.

Auvers-sur-Oise, luglio 1890

 

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Marco Goldin presenta VAN GOGH. L’autobiografia mai scritta (estratto video – link)

Van Gogh non era pazzo. Si è avvicinato al sole, prima cercandolo, poi fuggendone via. Vi è rimasto impigliato, con un filo che mai più ha districato, stringendolo nella mano. Fino a quella spiga di grano rimasta nella tasca della sua giacca, sotto il cielo di Auvers, prima di sera. Accanto a un covone. Sotto le stelle del firmamento.

Marco Goldin

Lettere a Theo

Noi possiamo far parlare solo i nostri quadri. Eppure, mio caro fratello, c’è questo che ti ho sempre detto e che ti ripeto ancora una volta con tutta la serietà che può provenire da un pensiero costantemente teso a cercare di fare il meglio possibile, te lo ripeto ancora che ti ho sempre considerato qualcosa di più di un semplice mercante di Corot, e che tu per mezzo mio hai partecipato alla produzione stessa di alcuni quadri, che, pur nel fallimento totale, conservano la loro serenità.
Ebbene, nel mio lavoro ci rischio la vita e la mia ragione vi si è consumata per metà – e va bene – ma tu non sei tra i mercanti d’uomini, per quanto ne sappia, e puoi prendere la tua decisione, mi sembra, comportandoti realmente con umanità.

Auvers-sur-Oise, 27 luglio 1890

 

Dall’agosto 1872 fino al 27 luglio 1890, Vincent Van Gogh scrisse al fratello Theo.
La profonda serietà della forma di vita di Van Gogh è nondimeno comune a tutte le lettere: a quelle scritte prima, e a quelle scritte nel corso, della malattia: esse testimoniano di una concezione del mondo, di una esistenza, di un pensiero, dall’alta significazione etica; e anche di una assoluta sincerità, di una profonda fede, di una infinita carità, di una generosa umanità e di un doloroso amor fati.
Queste lettere sono una delle testimonianze più commoventi della nostra epoca e sono tali da dimostrare come la moralità esista, e anzi si consolidi, al di là della malattia schizofrenica.

Eugenio Borgna – Come in uno specchio oscuramente 

Van Gogh

Caro Theo,
in questi ultimi tempi, nei giorni oscuri prima di Natale, la terra era coperta di neve; e allora tutto faceva pensare ai quadri medievali del vecchio Bruegel e a quelli di coloro che seppero rendere così bene tale particolare effetto di rosso e verde, nero e bianco.
L’opera di Thijs Maris e di Albrecht Dürer è ovunque presente.
Vi sono stradine malconce, invase da cespugli di rovi, e vecchi alberi contorti dalle radici fantastiche che fanno pensare alla strada incisa da Dürer in La morte e il cavaliere.
È stato davvero uno strano spettacolo vedere i minatori che rincasavano al crepuscolo sulla neve bianca. Gli uomini sono completamente neri: quando risalgono dalle miniere sembrano spazzacamini.
Più che case, le loro piccole abitazioni si dovrebbero chiamare capanne; sono disseminate lungo le stradine, nel bosco e sui versanti delle colline. Qua e là si vedono tetti coperti di muschio e, la sera, le luci brillano cordiali attraverso le piccole finestre.
Nel nostro Brabante abbiamo molte querce e, in Olanda, i salici; qui, giardini, campi e prati sono circondati da siepi di pruno selvatico.
Con la neve, sembrano caratteri neri su carta bianca – come pagine del Vangelo.

Borinage, Hainautsur-Oise, 26 dicembre 1878

Van Gogh lettere

Quando, nell’aprile del 1889, feci il mio ingresso nell’appartamento parigino di Cité Pigalle quale giovane sposa di Theo, trovai in fondo a un piccolo scrittoio un cassetto pieno di lettere di Vincent.
Settimana dopo settimana, quelle buste gialle ormai familiari, vergate nella caratteristica calligrafia di Vincent, crebbero di numero.
Quasi ventiquattro anni sono passati dalla morte di Theo prima che fossi in grado di completare la loro pubblicazione.
Mi è occorso molto tempo per decifrarle e per ordinarle cronologicamente.
Ma anche un’altra ragione mi ha trattenuto dal darle prima alle stampe: sarebbe infatti stato ingiusto nei confronti di Vincent creare un interesse attorno alla sua personalità prima che l’opera a cui aveva dedicato la vita avesse ottenuto quei riconoscimenti che meritava.
Molti anni sono occorsi affinché Vincent venisse salutato come un grande pittore.
Ora è giunto il momento di far conoscere e comprendere anche la sua personalità.

Johanna Bonger van Gogh, 1914

 

Genio e follia

Se si vuole analizzare la tecnica pittorica di Van Gogh, non bisogna dimenticare che ogni elemento appartiene a un tutto.
Così colpisce soprattutto una tecnica che s’impone dall’inizio del 1888, e diviene poi prevalente: la dissoluzione della superficie pittorica in pennellate di forma geometrica regolare, ma di immensa varietà; non solo linee e semicerchi, ma anche figure tortuose, spirali, forme che ricordano il 3 o il 6, angoli.

Basta quest’impiego del pennello per dare ai quadri un movimento inquietante.
La terra dei paesaggi pare vivere, si solleva e s’abbassa in onde, gli alberi sono come fiamme, tutto si torce e si tormenta, il cielo palpita.
I colori ardono.
Ogni cosa si manifesta nella sua presenza sensibile.
La luce accecante del sole di mezzogiorno gli è congeniale.
Il miracolo è che questa realtà produce effetti fantastici.
Vi è in lui un bisogno di realismo che lo fa indietreggiare davanti ai soggetti mitici, alla pittura d’idee, anche se ne è attratto, per rivolgersi con modestia a ciò che lo circonda.
Questo mondo circostante gli diventa mito, accentuandolo lo trascende. Ma non c’è qui alcuno sforzo; è una cosa naturale, la sua energia è tutta tesa ad afferrare il reale.

Karl Jasper – Genio e follia

La casa gialla

Le ultime lettere a Theo sono piene di riferimenti ai suoi disperati sforzi per raffigurare persone anziché paesaggi.
Per quanto mi riguarda” scrisse “penso a Rembrandt più di quanto possa apparire nei miei studi.”
E per Vincent Rembrandt era più di chiunque altro il maestro della rappresentazione del viso umano. Ammirava appassionatamente la sua sposa ebrea.
Quando era andato a visitare il museo di Amsterdam con il suo amico Anton Kerssemakers, si era seduto davanti a questo quadro e aveva detto l’amico: “mi troverai qui quando torni “.
E infatti, quando Kerssemakers ritornò, Vincent lo guardò e dichiarò “Darei volentieri dieci anni della mia vita per poter restare seduto davanti a questo quadro per  giorni, mangiando solo un pezzo di pane secco.

Martin Gayford – La casa gialla

Van Gogh - Altri

Saranno gli scritti di due fra gli scrittori più inquieti del Novecento, Georges Bataille (1897–1962) e Antonin Artaud (1896–1948) a sottrarre l’opera di van Gogh alla psichiatria per riconsegnarla alla fruizione culturale del proprio tempo, come uno dei risultati più alti e dirompenti della tradizione occidentale.

Bataille con il saggio intitolato La mutilation sacrificielle et l’oreille coupée de Vincent van Gogh (1930) propone il recupero degli atteggiamenti più trasgressivi dell’artista quali manifestazioni di una ritualità che ci riporta alla tradizione classica della vittima sacrificale.

Artaud vedrà nel tragico destino di Van Gogh, le suicidé de la societé (1946) il dramma stesso di ogni persona d’ingegno in una società che tende ad espungere tutte le categorie dei “diversi”, dei “marginali”, fra cui i pazzi e gli ammalati, tanto più se detentori di una lucidità ed una sensibilità come quelle di van Gogh: «Perché un pazzo è anche un uomo che la società non ha voluto ascoltare e a cui ha voluto impedire di pronunciate delle insopportabili verità».

Artaud Bataille

Cinema

China's Van Gogh
China’s VAN GOGH (Trailer – Link)
Alla ricerca di VAN GOGH (Trailer ITA – Link)

van gogh

Dafen, quartiere nella metropoli di Shenzhen.
Migliaia di pittori-operai lavorano senza sosta per riprodurre su tela i capolavori di grandi artisti, molto richiesti dai negozi di souvenir e dai grandi magazzini di tutto il mondo. Intere famiglie vivono e lavorano sommerse da tavolozze e pennelli. La pittura a olio è diventata una sorta di catena di montaggio.

Tra loro c’è Zhao Xiaoyong, ex contadino, immigrato da vent’anni con la famiglia.
Una piccola attività di riproduzioni di quadri di Vincent van Gogh.

La sua routine è dipingere I girasoli, Terrazza del caffè e Notte stellata

Attraverso la macchina da presa di Yu Haibo e Kiki Tianqi Yu viviamo la parabola di Zhao Xiaoyong, dall’industrializzazione del suo lavoro di copista al suo viaggio in Europa.