Moravia

Per me Roma è solo un fondale di teatro.
Non bisogna dimenticare che il mio ideale letterario, data la mia grande ammirazione per il teatro, era fondere la tecnica teatrale con quella narrativa. I miei romanzi in realtà sono dei drammi travestiti da romanzi: pochi personaggi, unità di tempo e di luogo, poca analisi, molta sintesi cioè azione.
Pirandello ci fu un momento in cui l’ho sentito molto affine a me. Ma la vera influenza ancora una volta fu quella di Dostoevskij, nel quale il dialogo e le situazioni sono teatrali e poi, naturalmente, i classici del teatro, soprattutto Goldoni, Shakespeare, Molière.
Dostoevskij è il mio maestro, è il maestro di tutti coloro che sono considerati scrittori esistenziali, è il capostipite di tutta una fila di scrittori che arriva fino a Sartre, Camus.

conformista (4)

L’inverno nucleare – Audio video racconto (Video – Link)

Foto (02)

Alberto non voleva proprio parlare del suo passato.
Diceva che il passato è una minestra riscaldata e non gli andava giù.
Detestava ricordare la sua famiglia.
L’ho trascinato a partecipare al libro Il bambino Alberto.
Volevo capire meglio com’era stato questo bambino, per capire meglio l’adulto.
Fra l’altro ho trovato molto poetici i suoi racconti sul padre veneziano che tornava a Venezia ogni anno per rivedere i suoi amici, fino a quando non ce n’è rimasto nemmeno uno.
E il racconto delle case in cui aveva abitato. Ma soprattutto i rapporti con sua madre, che aveva amato da bambino. Da cui si era distaccato con fatica e dolore, costruendo quella immagine negativa e ossessiva della donna anziana che si ritrova in tutte le figure di madri e di amanti dei suoi libri.

Alberto non era affatto sicuro di sé, per quanto potesse sembrarlo.
E la poesia gli faceva paura. Aveva una reverenza verso la scrittura poetica che lo tratteneva dal pubblicare le sue rime. Come se con la poesia non avesse difese.

Dacia Maraini

Moravia Pasolini

Alberto e Pier Paolo, pur essendo diversi, erano legati da una amicizia profonda, fatta di intesa, idee comuni, gusti comuni e voglia di discutere.
Alberto era portato ad un rapporto razionale con la realtà, credeva nella storia, nella ragione, nella comunicazione attraverso la parola e il pensiero.
Mentre Pier Paolo aveva un rapporto lirico e poetico con la realtà.
Avevano due modi di vedere il mondo molto differenti.
Eppure si capivano e si volevano bene.
Alberto fra l’altro era un meraviglioso conversatore, raccontava bellissime storie ed era ironico e sorprendente, mentre Pier Paolo era silenzioso, parlava pochissimo. Se diceva qualcosa era illuminante e conciso.

Dacia Maraini

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Ho imparato a scrivere con Gli indifferenti.
Scrivevo a letto, incastravo il calamaio tra le lenzuola. Scrivevo con la penna, tenendo il pennino rovesciato, così che mi succedeva di bucare la carta. Ogni tanto l’inchiostro si spandeva sulle coperte. Scrivevo appoggiato sul gomito.
Oggi non saprei più farlo.
Insomma il letto, dopo il sanatorio, era diventato per me come il guscio per la lumaca.
Sì, proprio imparavo a scrivere. Infatti la forza degli Indifferenti è proprio questa, che io non sapevo scrivere e ho imparato a scrivere con Gli indifferenti.
Dapprima, era orale. Scrivevo una pagina, poi la leggevo ad alta voce.

La controllavo con l’orecchio. Qui potrebbe intervenire il discorso sull’origine del narrare.
Cioè io cominciavo dall’orecchio ripetendo la tecnica dei cantori primitivi e poi piano piano ho smesso di regolarmi sull’udito e sono arrivato alla vista.
Gli indifferenti è stato scritto proprio come un canto, con dei trattini al posto della punteggiatura come a indicare il passaggio da un verso all’altro.
Alla fine però ho smesso di ascoltare quello che scrivevo e ho cominciato a vedere.
Da allora, purtroppo, non ho più avuto quel ritmo di favola parlata che avevo quando scrivevo Gli indifferenti.

Agostino

Agostino l’ho scritto con molta ispirazione, illuminato da una grande felicità espressiva.
Quel libro è la cerniera che congiunge Gli indifferenti ai miei libri successivi.
È la storia di una vacanza infantile, ma è anche la storia dell’incontro di Agostino con la cultura moderna, che presuppone l’opera di Marx e Freud.
Si intende che io avevo voluto solo raccontare una favola, ma si deve anche intendere che ogni favola, spinta fino all’ultima conseguenza, non può non rivelare un proprio segreto rapporto con la cultura dell’epoca.
Anche Shakespeare scriveva favole, ma alla fine si scopriva che queste favole portavano a una visione del mondo umanistica, rinascimentale, tra Montaigne e Plutarco.
La censura fascista non diede il nulla osta per la pubblicazione nel’42.
Che c’era di antifascista in Agostino? Assolutamente nulla, ma la censura è fatta di funzionari e i funzionari devono giustificare la loro funzione anche se non hanno nulla su cui esercitarla.
Agostino esce infine  nel ’44, presso la casa editrice Documento, di un mio amico che si chiamava Federico Valli. Un’edizione di cinquecento copie con tre disegni di Guttuso.

moravia

Ho voluto raccontare il caso di un ragazzo che ha avuto esperienze omosessuali precoci, che ha creduto di aver ucciso un uomo, e che per questo si sente segnato a dito, si sente un elemento anti-sociale e fa di tutto per integrarsi nella società che gli sembra voglia espellerlo.
Vuole cancellare da sé ciò che considera una macchia d’origine, un peccato.
Per far questo accetta anche la criminalità della società cui anela.
Non ci pensa due volte: lui paga l’integrazione col delitto.
Questa era l’idea del libro, e mi sembra tuttora molto bella.
L’integrazione al fascismo si pagava sempre con un delitto: per cominciare, una delazione. La prima cosa che Mussolini chiedeva a un intellettuale era di scrivere un articolo contro un suo nemico, contro Croce ad esempio.
Io disegnai un caso estremo: il caso di uno a cui vien chiesto addirittura di ammazzare un suo ex-professore fuoriuscito a Parigi.
La mia intenzione era di interpretare il fascismo in chiave intellettuale.

Ma forse, a causa d’una mia immaturità di scrittore, quel romanzo diventò un collo di bottiglia in cui fu difficile far entrare tutto quello che ci volevo fare entrare.
Mi accorgevo ancora una volta che il romanzo su dati storici e realistici era impossibile scriverlo.
Il delitto Rosselli. In più volevo amalgamarvi quello che avevo conosciuto del fascismo.
I critici non andarono troppo per il sottile, a dir la verità.
Se la presero con i contenuti.
Dissero che avevo parlato del delitto Rosselli inquadrandolo in una luce un po’ troppo particolare, troppo psicologicamente limitata; e che avevo dimostrato non troppa simpatia per l’antifascismo di Parigi.
Di fronte al fascismo, volevo sapere come e perché era nato; che cosa aveva rappresentato per i fascisti stessi. Mi chiedevo: che cosa è un intellettuale fascista?

 

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L’inverno nucleare è una raccolta di interviste, articoli e saggi scritti dal 1982 al 1985 sulla questione nucleare.
Sono uno scrittore e mi è sembrato naturale servirmi della scrittura per combattere una guerra di liberazione dalla guerra.

La guerra nucleare è una guerra annunciata perché non è una guerra ma la morte della specie.
Si sapeva da sempre che la specie un giorno sarebbe morta.
Ora sappiamo come morirà e anche, approssimativamente quando.
La bomba é impensabile come Dio perché l’uomo non può pensare con il suo pensiero sia il suo inizio sia la sua fine .
Il problema nucleare è un problema metafisico e perciò giustamente i pacifisti lo prendono come tale.
Si tratta infatti del suicidio dell’umanità.
Da questo punto di vista l’elemento politico-militare é puramente strumentale.

perchè non ho fatto il pittore

Fin dall’infanzia Alberto Moravia è affascinato dalla pittura e per tutta la vita si circonda di artisti di diverse generazioni.
A partire dagli anni trenta si interessa all’arte anche con un’intensa attività critica, per la prima volta raccolta in volume.
Gli scritti permettono di comprendere come Moravia contamini arte e letteratura, letteratura e arte, tra potenzialità e limiti, allusioni, rimandi cifrati e dichiarati, capacità iconica di una lingua che rivaleggia con le altre arti nella rappresentazione del mondo.

Cara Giosetta,
le vie della poesia sono poche e tutte a senso obbligato. Se si parte in una certa direzione, si finisce inevitabilmente in luoghi prevedibili anche se sempre nuovi. La tua maniera di togliere invece di aggiungere, di dare importanza al vuoto invece che al pieno, di definire attraverso l’assenza invece che attraverso la presenza, ti introduce senza che tu te ne accorga nella compagnia dei pittori e dei poeti giapponesi, maestri nel farci vedere ciò che non c’è. Ecco l’haiku che potrebbe servire da commento al tuo disegno sul ristorante dove canta l’usignolo. È di Buson, uno dei maggiori. “L’usignolo canta – la piccola bocca – spalancata.”

Alberto Moravia – Lettera a Giosetta Fioroni

La breve lettera di Moravia riguarda un’opera in particolare di Giosetta Fioroni, Il ristorante Baffone accompagnata dalla seguente didascalia dell’artista: “Il ristorante baffone dove si ode il canto dell’usignolo notturno.”

ristorante baffone

Giosetta Fioroni, Il ristorante Baffone, 1970, tecnica mista su carta

Cinema

il conformista
Il conformista (Trailer – Link)

conformista
Bernardo Bertolucci racconta (Video – Link)

Il caso Rosselli

Il Caso Rosselli – parte prima (Link)
Il Caso Rosselli – parte seconda (Link)
Contenuti extra – Una lezione di coerenza (Link)
Contenuti extra – Strategia di un delitto (Link)
Contenuti extra – Giustizia e Libertà (Link)
Contenuti extra – Galleria fotografica (Link)
Contenuti extra – Amelia, una madre (Link)
Contenuti extra – La Cagoule (Link)
Contenuti extra – Silvia Rosselli (Link)
Contenuti extra – La formazione (Link)
Contenuti extra – Due fratelli, 1° parte (Link)
Contenuti extra – Due fratelli, 2° parte (Link)