Isaac Asimov in 1982 on Ellis Island, New York. (Arnold Newman – Getty)
Anche da giovane non riuscivo a condividere l’opinione che, se la conoscenza è pericolosa, la soluzione ideale risiede nell’ignoranza. Mi è sempre parso, invece, che la risposta autentica a questo problema stia nella saggezza.
Non è saggio rifiutarsi di affrontare il pericolo, anche se bisogna farlo con la dovuta cautela. Dopotutto, è questo il senso della sfida posta all’uomo fin da quando un gruppo di primati si evolse nella nostra specie.
Qualsiasi innovazione tecnologica può essere pericolosa: il fuoco lo è stato fin dal principio, e il linguaggio ancora di più; si può dire che entrambi siano ancora pericolosi al giorno d’oggi, ma nessun uomo potrebbe dirsi tale senza il fuoco e senza la parola.
La mia è una famiglia di immigranti che da un piccolo villaggio in Russia si trasferì a New York negli anni venti. Abitavamo a Brooklyn e i miei genitori gestivano un modesto emporio nel quale ho spesso lavorato durante l’infanzia. Mio padre pensava che il genere di pubblicazioni vendute, per lo più stampa popolare, fossero “spazzatura” e così non mi permetteva di leggerle. Ma tra tutte la fantascienza faceva eccezione. Mio padre non parlava o leggeva molto bene l’inglese per cui sono sicuro che per lui la “fantascienza” avesse qualcosa a che vedere con la scienza e che dunque potesse essere una buona lettura per me.
Così a nove anni cominciai a leggere fantascienza e successivamente ne diventai così appassionato che raggiunti i diciassette anni cominciai a scriverne per conto mio. I miei primi lavori furono respinti dagli editori ma, dopo parecchi mesi di tentativi riuscii a vendere i miei primi racconti.
Non mi immaginavo che uno potesse guadagnarsi da vivere scrivendo fantascienza, perciò nel frattempo finii le scuole superiori, mi iscrissi all’università alla facoltà di biochimica e così alla fine diventai anche un vero scienziato.
I. Asimov – Scienza, tecnologia … e spazio! (Intervista di Pat Stone, Mother Earth News – IsaacAsimov.it)
La buona fantascienza è scientificamente interessante non perché parla di prodigi tecnologici – e potrebbe anche non parlarne affatto – ma perché si propone come gioco narrativo sulla essenza stessa di ogni scienza, e cioè sulla sua congetturalità.
La fantascienza è, in altri termini, narrativa dell’ipotesi, della congettura o dell’abduzione, e in tal senso è gioco scientifico per eccellenza, dato che ogni scienza funziona per congetture, ovvero per abduzioni.
Umberto Eco – I mondi della fantascienza (Sugli specchi e altri saggi, 1985)
Nella fantascienza vi è la miglior narrativa sociale del nostro tempo.
Doris Lessing
Come facciamo a sapere quale sia veramente il bene supremo dell’umanità?
Noi non abbiamo a disposizione il numero infinito di dati che hanno a disposizione le Macchine.
Forse, tanto per fare un esempio che non ci è del tutto estraneo, l’intera civiltà tecnologica ha generato più angoscia e infelicità di quante non ne abbia eliminato.
Forse sarebbe preferibile una civiltà contadina o pastorale, con meno cultura e meno affollamento.
Se così è, le Macchine dovranno muoversi in quella direzione, ma senza dircelo, perché noi, nella nostra ignoranza piena di pregiudizi, accettiamo solo ciò a cui siamo abituati e quindi ci opporremmo a qualsiasi cambiamento.
Io, Robot – Conflitto evitabile (1950)
Io, Robot (I, Robot) è una raccolta di 9 racconti scritti da Asimov tra il 1940 e il 1950.
In ognuno di questi racconti, Asimov affronta, da diverse angolazioni, le possibili implicazioni etiche (all’epoca solo immaginarie) nel rapporto tra uomini e macchine.
Protagonisti sono i robot positronici, particolare tipologia di robot umanoidi dal cervello positronico.
Famosissime sono le Tre Leggi della Robotica, formulate da Asimov negli anni ’40 e diventate un caposaldo della letteratura e della filmografia fantascientifica:
- Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno.
- Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge.
- Un robot deve proteggere la propria esistenza,
purché questa auto-difesa non contrasti con la Prima e con la Seconda Legge.
A queste Tre Leggi Asimov ne aggiungerà successivamente una quarta, la Legge Zero:
Un robot non può recare danno all’umanità, né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, l’umanità riceva danno.
Con la Legge Zero, la questione del possibile danno causato dalla tecnologia viene ampliata dal singolo individuo all’intera umanità, legittimando così, in casi estremi, la violazione della prima legge in funzione di un bene universale, un bene superiore.
La macchina automatizzata non è spaventosa per il rischio che assuma il controllo autonomo sull’umanità. […] Il suo pericolo reale […] è piuttosto diverso: queste macchine, per quanto di per sé inermi, possono essere usate da un essere umano o da un raggruppamento di esseri umani per aumentare il loro controllo sul resto della razza umana […] non per mezzo delle macchine stesse, ma attraverso […] tecniche talmente restrittive e indifferenti agli esseri umani da poter, di fatto, essere state concepite meccanicamente. Per evitare questi pericoli, esterni e interni […] dobbiamo sapere […] qual è la natura umana e quali sono i suoi innati propositi.
La nuova rivoluzione industriale è dunque una spada a doppio taglio. Essa può essere usata per il benessere per l’umanità. […] Ma se noi continueremo a muoverci sui binari liberi e ovvii del nostro comportamento tradizionale e a seguire il nostro tradizionale culto del progresso e della quinta libertà – la libertà di sfruttare – è certo che dovremo aspettarci rovina e disperazione.
Norbert Wiener – Introduzione alla cibernetica. L’uso umano degli esseri umani, 1950
Isaac Asimov Reloaded. Robot e mito della creazione ֍ VIDEO (Link)
Faccia a faccia. Giovanni Minoli intervista Isaac Asimov ֍ VIDEO (Link)
Quark. Piero Angela intervista Isaac Asimov ֍ VIDEO (Link)
Isaac Asimov. PhD talking on film by BBC ֍
VIDEO (Traduzione e montaggio sottotitoli: A. Giovannini / N. Cardillo)
Se le stelle apparissero una sola notte ogni mille anni, gli uomini potrebbero credere e adorare, e serbare per molte generazioni la rimembranza della città di Dio.
Ralph Waldo Emerson
Cosa accadrebbe se gli uomini potessero vedere le stelle una sola volta ogni mille anni? Impazzirebbero.
Isaac Asimov