50th anniversary (0)

Cosa si può dire di nuovo su Fahrenheit 451?
Ho scritto tre o quattro introduzioni negli ultimi 30 anni, cercando di spiegare da dove venisse il romanzo e come, alla fine, è arrivato.
La prima cosa da dirsi è che mi sento veramente fortunato di aver vissuto abbastanza a lungo, così da poter restare in relazione con le persone che hanno prestato attenzione al romanzo in quest’ultimo anno.
Il romanzo è stato una sorpresa allora ed è ancora una sorpresa per me.
Ho sempre scritto con passione e partendo da alcuni motivi segreti dentro di me.
Ho seguito il consiglio del mio caro amico Federico Fellini che, quando gli si chiedeva del suo lavoro, diceva “Non ditemi cosa sto facendo. Non voglio saperlo”.
La cosa principale è tirare dritto e vedere cosa può rivelare la tua passione.

Inizialmente, 50 anni fa, ho scritto una breve versione di 25.000 parole del romanzo intitolato The Fireman, che è apparsa nella rivista Galaxy Science Fiction, e diversi anni dopo ho aggiunto altre venticinquemila parole per la sua pubblicazione presso Ballantine Books.

Vivendo in una casa, con una nuova figlia piccola, dovevamo considerare la necessità di trovare un posto che fosse più tranquillo, per poter fare il mio lavoro.
Non avevo soldi in quel periodo per affittare un ufficio, ma andando a zonzo, un giorno, nei pressi dell’UCLA (Università della California di Los Angeles, N.d.T.), sentendo battere a macchina nel seminterrato della biblioteca, scesi per vedere cosa stesse succedendo.
Scoprii che c’era una stanza con 12 macchine da scrivere che potevano essere noleggiate a 10 cent per ogni mezz’ora.
Eccitato dalla prospettiva, mi portai un sacchetto di monetine e entrai nel seminterrato dell’università.
Non sapevo cosa gli studenti stessero scrivendo alle loro macchine da scrivere, e pure loro difficilmente lo sapevano, né io sapevo cosa stessi scrivendo.

Se dalla lettura del romanzo traspare eccitazione, una qualche tensione, io penso che ciò possa essere spiegato dal fatto che ogni due ore circa, durante la successiva settimana e mezza, correvo su e giù per le scale, dentro e fuori dagli scaffali, afferrando libri, cercando di trovare le citazioni giuste da inserire nel romanzo.
Non sono un ricercatore e la mia memoria non è poi così precisa per le cose che ho letto in passato, perciò le citazioni che trovi nel libro sono il frutto di quel meraviglioso gioco in cui prendevo un libro dallo scaffale e, aprendolo a caso, trovavo una frase meravigliosa o un paragrafo, che avrebbe potuto occupare un posto nel romanzo.
La stesura di questa prima versione richiese esattamente 9 giorni e un investimento di 9 dollari e 80 cents, senza rendermi conto che il libro avrebbe avuto una lunga vita davanti a sé.

Negli anni successivi alla prima pubblicazione del romanzo, ispirandomi allo stesso, ho scritto una pièce teatrale in due atti e ho trascorso due estati nel Connecticut per scrivere un’opera in musica.
Il libro sembra avere una vita propria, che si ricrea continuamente.
Se cerco di trovare la sua genesi negli anni precedenti al 1950, potrei immaginare che si possa fare riferimento ad alcune storie, come
Burning Bright, ed alcuni racconti apparsi nei miei primi libri.

La cosa principale su cui richiamare l’attenzione è che sono stato per tutta la mia vita un topo di biblioteca.
Ho venduto giornali fino all’età di 22 anni e non avevo soldi per andare al college, ma trascorrevo tre o quattro sere a settimana nella biblioteca locale, nutrendomi così di libri per molto tempo.
Alcune delle mie prime storie raccontano di bibliotecari e di persone che bruciano libri, e di gente che vive in piccole città e cerca il modo per imparare a memoria i libri per garantire loro una sorta di immortalità, nel caso venissero bruciati.
Nel breve racconto Il Pedone, che ho scritto nel 1949, si trova il più sorprendente collegamento a Fahrenheit 451.
Una notte sono stato fermato dalla polizia, mentre camminavo con un amico lungo una strada di Los Angeles.
La polizia voleva sapere cosa stessi facendo, quando
passeggiare era il nostro scopo e parlare la nostra occupazione.
Ero così irritato per essere stato fermato e interrogato sul “passeggiare parlando” che andai a casa e scrissi la storia Il Pedone, immaginando un futuro dove i pedoni venivano arrestati per aver camminato lungo i marciapiedi.
Qualche tempo dopo, portai il Pedone a passeggiare e quando svoltò l’angolo incontrò una giovane ragazza di nome Clarisse McClellan che inspirò profondamente e disse:
“So chi sei dall’odore di kerosene. Tu sei l’uomo che brucia i libri”.

Nove giorni dopo il romanzo era finito.
Che esperienza meravigliosa stare nel seminterrato della biblioteca, correndo su e giù per le scale, rinvigorendomi col tocco e l’odore dei libri che conoscevo e dei libri che fino a quel momento non conoscevo ancora.
Quando terminai la prima versione del romanzo quasi non sapevo cosa avessi fatto.
Sapevo che era pieno zeppo di metafore, ma la parola metafora non mi era venuta in mente in quel momento della mia vita.

È stato solo successivamente che ne ho appreso appieno il significato e in quel momento mi sono reso conto della mia capacità di raccogliere metafore.

Negli anni in cui scrivevo la pièce teatrale e l’opera che ne seguì, ho lasciato che i miei personaggi mi raccontassero cose della loro vita, che non erano nel libro.
Sono stato tentato di tornare indietro e inserire queste verità nel romanzo, ma questa è una pratica pericolosa che gli scrittori devono evitare.
Queste verità, sebbene importanti, potrebbero rovinare un lavoro fatto anni prima.
Nello scrivere la pièce teatrale il capo dei vigili del fuoco, Beatty, mi disse perché era diventato un bruciatore di libri.
Era stato in passato un girovago di biblioteche e un amante della migliore letteratura storica.
Ma quando la vita reale lo ha sminuito, quando gli amici sono morti, quando un amore è finito, quando c’erano troppe morti e incidenti intorno a lui, ha scoperto che la sua fiducia nei libri era venuta meno perché non potevano aiutarlo, quando aveva bisogno di aiuto.

Rivoltandosi contro di loro, accese un fiammifero.
Così questa è una delle cose buone che sono emerse dallo spettacolo e dall’opera.

Sono felice di poterne parlare ora e raccontare il passato di Beatty.

Dopo che il libro fu pubblicato negli anni successivi ho ricevuto centinaia di lettere di lettori che chiedevano che fine avesse fatto Clarisse McClellan.
Erano così intrigati da questa ragazza affascinante, strana e donchisciottesca che volevano credere che, da qualche parte nel deserto, con le persone libro, fosse, in qualche modo, sopravvissuta.

Ho resistito alla tentazione di riportarla in vita in edizioni successive del mio romanzo.
Ho lasciato a François Truffaut nella sua versione cinematografica di Fahrenheit 451 del 1966 il dare a Clarisse un ritorno alla vita, anche se il regista le aveva cambiato il nome e le aveva dato un’età più matura, cosa che al tempo pensavo fosse un grave errore.
Nel film Clarisse non muore; a quel punto decisi che Truffaut aveva fatto bene.
Quando ho scritto la prima versione della pièce teatrale ho permesso a Clarisse di sopravvivere in mezzo alle persone libro nella natura selvaggia.
La stessa cosa è avvenuta quando ho scritto l’opera.
Era un personaggio meraviglioso per farlo morire e mi rendo conto solo ora che avrei dovuto concederle di apparire alla fine del mio libro.

Detto questo, il libro è completo e non modificato.
Non tornerò indietro e non rivedrò nulla.
Ho un grande rispetto per il giovane uomo che ero quando mi sono seduto in quella stanza del seminterrato con un sacchetto di monetine e mi sono immerso nell’attività appassionata che ha portato al lavoro finale.
Ecco dunque, dopo 50 anni, Fahrenheit 451.
Non sapevo cosa stavo facendo, ma sono felice che sia stato fatto.

HarperCollins’s the 50th Anniversary Edition – Introduzione di Ray Bradbury (traduzione Alessio Contini)

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