C’è solo un modo per leggere, che è quello di girare per biblioteche e librerie, raccogliendo i libri che vi attraggono e leggendo solo quelli. Lasciandoli da parte quando vi annoiano, saltando le parti che trascinano e mai, mai leggere nulla perché vi sentite in dovere, o perché è parte di una tendenza o di un movimento. Ricordate che il libro che vi annoia quando avete venti o trent’anni aprirà le sue porte per voi quando ne avrete quaranta o cinquanta e viceversa. Non leggete un libro al di fuori del suo momento giusto per voi.
Doris Lessing
Doris Lessing possiede una sensibilità unica, scrive della propria intensa esperienza, della propria soggettività, ma allo stesso tempo scrive fuori dallo spirito dei tempi. Questo è un dono che non può essere analizzato; deve solo essere onorato.
Joyce Carol Oates
Doris Lessing ha scritto talmente tanto – oltre cinquanta romanzi, e poi decine di racconti, saggi, opere teatrali – che è impossibile identificare un solo elemento ricorrente. Tra quelli che mi colpiscono come i più presenti, quasi una cifra distintiva del suo modo di articolare la narrazione, penso all’elemento che Freud avrebbe definito come il perturbante: l’evento, apparentemente minimo – un pensiero, un rumore, una frase – che interviene in una situazione ‘normale’, a sconvolgerla, cambiandola di segno. Cosicché da quel momento in poi la vita del personaggio che ne viene toccato non sarà mai più la stessa.
E ancora vanno ricordate le più recenti riflessioni su Il senso della memoria. Perché narrare si deve, è il messaggio che Doris Lessing sembra lasciare in eredità ai suoi lettori.
«Perché nel profondo di ciascuno di noi c’è un cantastorie. Un narratore che è sempre con noi. Quand’anche il mondo in cui viviamo venisse travolto dalla guerra, con tutto l’orrore che possiamo facilmente immaginare …
Se un’alluvione inondasse le nostre città, e il mare si sollevasse … quel cantastorie continuerebbe ad esistere, perché, nel bene e nel male, è la fantasia a darci una forma, a crearci, a tenerci insieme. E anche se fossimo feriti, dilaniati, distrutti, sarebbero i nostri racconti a rimetterci in piedi. Sono il cantastorie, il creatore di sogni e il costruttore di miti, cioè la nostra fenice, a rappresentare la parte migliore di noi, quella più creativa».
Maria Antonietta Saracino
“…Io mi sono chiesta: e se nel ventesimo secolo venisse al mondo un elfo, una creatura di un’altra epoca? Nella nostra società apparirebbe ‘cattivo’, portatore di male, ma in un contesto diverso non susciterebbe pregiudizi. Come reagiremmo se capitasse tra noi uno così? Noi siamo pigri, quando le cose sono un po’ problematiche, le nascondiamo sotto il tappeto. Questo libro l’ho scritto due volte. La prima versione era meno cruda. Poi mi sono detta:’cara mia, stai barando. Se succedesse davvero, sarebbe molto peggio di così’. E allora l’ho riscritto portandolo alle conseguenze estreme.”
Lungo il percorso
Immediatamente una figura risaltò dai neri abissi lucidi della roccia dove, sprofondate nella lucentezza della pietra, c’erano altre figure che avevano bisogno del sole per emergere. Il raggio si allargò a inondare la parete ed eccoli tutti lì, una galleria di immagini, la gente di Ben.
Quello che so è che nascere nel 1919, anno in cui mezza Europa ero un cimitero e la gente moriva a milioni in tutto il mondo, è stato importante. E come poteva essere altrimenti?
A meno che non si creda che la mente di ogni essere umano, per quanto piccolo, si è separata da quella di ogni altro, separata dalla mente comune di tutti gli altri esseri umani. Con quanto impegno abbiamo tutti dimenticato il danno che quella guerra ha causato all’Europa.
Allo scoppio della guerra mio padre aveva 28 anni.
[ … ] mio padre comunque ricordava e spesso parlava di quei soldati che “in piena psicosi traumatica” o non riuscendo a tirarsi fuori della buca di fango per andare ad affrontare il nemico, venivano uccisi perché accusati di vigliaccheria.
Oggi mi chiedo quanti dei bambini allevati in famiglie mutilate dalla guerra abbiano avuto quello stesso tipo di veleno che scorreva loro nelle vene fino da prima che riuscissero a parlare.
Noi tutti siamo un prodotto della guerra, deformati e distorti dalla guerra eppure sembra che ce ne dimentichiamo.
Una guerra non finisce con l’armistizio.
Doris Lessing – Sotto la pelle
A Doris Lessing si deve il merito di averci saputo rimandare lo sguardo sul mondo di una bambina di tre anni, lei stessa, nello struggente Sotto la pelle, primo di due volumi di una autobiografia che Lessing diede alle stampe nel 1994, a settantatré anni, rivendicando il diritto di raccontare la propria storia per impedire ad altri di farlo per lei. Il racconto è durissimo: il mondo non capisce i bambini e li condanna a un dolore che li accompagnerà nella vita adulta.
Maria Antonietta Saracino
Doris Lessing wins Nobel Prize for Literature 2007 (video – link)
Premio Nobel per la letteratura, nel 2007, con la seguente motivazione:
«Cantrice dell’esperienza femminile, con scetticismo, passione e potere visionario ha messo sotto esame una civiltà divisa».
Doris Lessing non andrà a Stoccolma a ritirare quel premio; al suo posto andrà il suo editore per leggere una breve comunicazione della scrittrice.
Più avanti, arriverà il discorso vero e proprio, una riflessione appassionata sulla necessità di leggere, sulla importanza che i libri hanno avuto nella sua vita, anche in Africa; su come, proprio in Africa, in quella parte del continente, lo Zimbabwe, nella quale aveva trascorso i trent’anni più importanti della sua vita e alla quale tornava ogni volta che poteva, i giovani soffrissero, oltre al resto, anche di «una fame di libri».
[ … ] sono cresciuta in quella che era virtualmente una capanna di fango, col tetto di paglia. Quel tipo di casa si è sempre costruita ovunque ci fossero canne o erba, fango adatto, tronchi per le pareti – per esempio nell’Inghilterra sassone. Quella in cui sono cresciuta io aveva quattro stanze, una accanto all’altra, ed era piena di libri. Non solo i miei genitori li portavano dall’Inghilterra all’Africa, ma mia madre ne ordinava per posta dall’Inghilterra per i suoi figli. I libri arrivavano in grossi pacchi di carta marrone, ed erano la gioia della mia giovane vita.
Una capanna di fango, ma piena di libri.
Perfino oggi ricevo lettere di persone che vivono in un villaggio che magari non ha l’elettricità o l’acqua corrente, proprio come la nostra famiglia in quella capanna di fango oblunga. “Anch’io diventerò uno scrittore,” dicono, “perché ho lo stesso tipo di casa che ha avuto lei”. Ma qui sta la difficoltà. La scrittura, gli scrittori, non vengono fuori da case senza libri.
Ho guardato i discorsi di alcuni dei recenti vincitori del premio Nobel.
Prendete il vincitore dell’anno scorso, il magnifico Orhan Pamuk. Diceva che suo padre aveva 500 libri. Il suo talento non è venuto fuori dal nulla, lui era collegato con la grande tradizione.
Prendete VS Naipaul. Egli menziona che i veda indiani erano vicini alla memoria della sua famiglia. Suo padre lo incoraggiò a leggere, e quando andava in Inghilterra andava a visitare la British Library.
Prendiamo John Coetzee. Non solo è stato vicino alla grande tradizione, lui era la tradizione: insegnava letteratura a Cape Town. E quanto mi dispiace di non aver mai partecipato a una delle sue lezioni; farsi insegnare da quella mente meravigliosamente coraggiosa e sfrontata.
Per poter scrivere, per poter fare letteratura, bisogna che ci sia una stretta connessione con le biblioteche, i libri, la tradizione.
Doris Lessing – Come non vincere il Nobel
Doris Lessing: A Retrospective (dorislessing.org – link)
Doris Lessing – Wikiradio (audio – link)
Noi narriamo storie continuamente.
Lo facciamo tutti, registrando la nostra esperienza, forse addirittura dandole forma.
[…] Narriamo storie dal mattino alla sera, sogniamo a occhi aperti e fantastichiamo, e quando ci addormentiamo ricominciamo a narrarci altre storie, perché i sogni sono storie.
Doris Lessing, Il senso della memoria
Federica Fracassi legge “Il diario di Jane Somers” (audio – link)