“Ma la menzogna, l’abuso del potere, la violazion delle leggi e delle regole più note e ricevute, l’adoprar doppio peso e doppia misura [ … ]
Se, in un complesso di fatti atroci dell’uomo contro l’uomo, crediam di vedere un effetto de’ tempi e delle circostanze, proviamo, insieme con l’orrore e con la compassion medesima, uno scoraggimento, una specie di disperazione. Ci par di vedere la natura umana spinta invincibilmente al male da cagioni indipendenti dal suo arbitrio, e come legata in un sogno perverso e affannoso, da cui non ha mezzo di riscotersi, di cui non può nemmeno accorgersi.”
Storia della Colonna Infame
Un delitto giudiziario: una crime story, ricostruita sul filo di un’inchiesta razionale condotta sui documenti, sulle fonti giuridiche e sulla bibliografia critica del processo milanese che nel 1630 condannò degli innocenti, accusati di aver diffuso una peste manufatta (i cosiddetti “untori”), a una morte atroce e ignominiosa:
” […] tanagliati con ferro rovente, per la strada; tagliata loro la mano destra [ …]; spezzate l’ossa con la rota, e in quella intrecciati vivi, e alzati da terra dopo sei ore scannati; bruciati i cadaveri, e le ceneri buttate nel fiume.”
A ricordo del processo e a monito per il futuro, il Senato fece erigere una colonna di granito sul luogo dove prima sorgeva la casa di uno dei giustiziati:
“ […] dopo aver decretata, in aggiunta de’ supplizi, la demolizion della casa d’uno di quegli sventurati, decretaron di più, che in quello spazio s’innalzasse una colonna, la quale dovesse chiamarsi infame, con un’iscrizione che tramandasse ai posteri la notizia dell’attentato e della pena. E in ciò non s’ingannarono: quel giudizio fu veramente memorabile.”
Salvatore Nigro
“Quei giudici furono burocrati del Male: e sapendo di farlo.
[…] Il passato , il suo errore, il suo male, non è mai passato: e dobbiamo continuamente viverlo e giudicarlo nel presente.”
Leonardo Sciascia
Lungo il percorso
Qualche anno dopo aver finito gli studi, mi capitò inopinatamente fra le mani una copia de La Colonna Infame. La lessi, ne rimasi incuriosito, colpito, addirittura turbato. Avvenne in me un risveglio di attenzione.
Iniziò così la mia comprensione dell’opera manzoniana.
Ho riletto il libro più volte in seguito, perché ho trovato in esso argomenti di straordinaria attualità che riguardano sempre l’oppressione dell’uomo sull’uomo.
C’è sempre questa sorta di Colonna Infame che è infame per gli accusatori e non per gli accusati.
Scoprii poi con piacere che era uno dei libri che aveva motivato anche l’esistenza di Sciascia.
Il modello ideale della mia Strage dimenticata, anche se stellarmente lontano, è proprio la Colonna, che è diventata per me la chiave di lettura dei Promessi Sposi.
E’ come se con La Colonna Infame Manzoni abbia voluto fornire una chiave critica ai lettori più attenti.
Andrea Camilleri
È una natura abbandonata da Dio, quella che Manzoni rappresenta; altro che provvidenzialismo! E quando Dio vi si manifesta per mettere le cose a posto, è con la peste.
Da parte degli uomini, non c’è che guasti: malgoverno, mala economia, guerra, calata dei lanzichenecchi.
Libro di storia involto in pagine di romanzo (e di storia come la si intende adesso, in cui la parte événementielle delle battaglie di Wallenstein e della successione del ducato di Mantova è confinata tra le chiacchiere alla tavola di Don Rodrigo e ciò che occupa il campo sono le crisi dell’agricoltura, i prezzi del frumento, la domanda di mano d’opera, la curva delle epidemie).
I Promessi Sposi propongono una visione della storia come continuo fronteggiamento di catastrofi.
In Manzoni più d’una volta il linguaggio d’un’aspra teologia si confonde con quello d’una scienza che si tiene solo ai fatti.
La Colonna Infame non è l’opera d’un Manzoni illuminista precedente o parallelo al Manzoni provvidenzialista: i due sono uno; la persecuzione dei presunti untori è un errore esecrabile tanto al lume delle conoscenze scientifiche sul propagarsi delle epidemie batteriche, quanto al lume della teologia manzoniana secondo la quale un flagello come la peste non può dipendere da un atto di volontà umana, dalle azioni di pochi uomini, ma solo dalla mano di Dio, ossia dalla catena delle colpe umane che muovono il castigo di Dio e gli estremi rimedi della sua Provvidenza.
Italo Calvino – Una pietra sopra
Critici e filologi, accademicamente “legali” per anni e anni hanno mortificato il romanzo manzoniano.
Perché funzionasse il loro sistema di lettura hanno asportato dal romanzo il capitolo ultimo, la Storia della Colonna Infame.
Ne hanno fatto un’opera diversa.
In questo quadro, che a poco a poco sta cambiando, leggere i Promessi Sposi come Manzoni ha voluto che fossero, completi di illustrazioni e delle pagine della Colonna Infame è diventato un modo “illegale” di accostarsi all’opera: che non è il romanzo edificante e pedagogico della consolazione, come vorrebbe la vulgata, ma la narrazione delle intricate e corrompenti geometrie di un mondo, storicamente delineato, che il diritto ha soggiogato al torto e alla violenza della “giustizia negata”.
Salvatore Nigro
I classici raccontano cosa siamo stati, cosa siamo divenuti e – alla loro luce – possiamo meglio comprendere ciò che stiamo divenendo e possiamo divenire.
Un classico ha sempre qualcosa da dire a chi lo sa leggere ed ascoltare; di per sé provoca al commento [ … ] l’interpretazione diventa un atto del ricordo e l’interprete un “ricordatore” che sollecita il recupero di una “verità” dimenticata.
E’ del classico non esaurirsi in sé e per questo dura nel tempo.
Salvatore Natoli
Quell’abitudine strana di non vedere nella storia quasi altro che alcuni personaggi.
Non si tratta solamente di papi e re; e in una vasta discussione di interessi, com’era quella tra papato e longobardi, l’ambizione degli uni e degli altri è una circostanza molto secondaria [ … ]
Nel conflitto tra quelle due forze si agitava il destino di alcuni milioni di uomini.
Alessandro Manzoni
Manzoni era un poeta nato, come lo era Schiller.
ma i nostri tempi sono così cattivi, che il poeta non trova più nella vita degli uomini che lo circondano una natura utilizzabile.
Per sollevarsi, Schiller si è appoggiato a due grandi cose, la filosofia e la storia.
Manzoni alla storia soltanto. [ … ] Così Manzoni soffre di un sovrappiù di storia.
Goethe
Ecco, dunque: le carte del processo a Caterina Medici, per circa due anni sono rimaste, su un angolo della scrivania, nella mia casa di campagna [ … ]
E seguendo il filo del caso, di cui sommariamente mi ero reso conto e che mi interessava, altri libri io ero riuscito a radunare.
Ma documenti e libri sarebbero rimasti lì, finché una improvvida mano non li avesse tolti per mettere ordine nel mio disordine, se rileggendo i Promessi Sposi, al capitolo XXXI, l’attenzione non mi si fosse fermata, ossessivamente come la puntina nel disco che gira sullo stesso solco, alla frase con cui Manzoni, a vituperio del Settala, ricorda l’atroce caso.
E’ scattato allora un rinnovato interesse al fatto, più fervido, quasi smanioso: e nel giro di tre settimane ne è venuto fuori questo racconto.
Come un sommesso omaggio ad Alessandro Manzoni [ … ]
Leonardo Sciascia
La credenza che peste e colera venissero artatamente sparsi tra le popolazioni è antica.
La registra Livio, per come ricorda Pietro Verri nelle sue Osservazioni sulla tortura, che appunto muovono dai funesti casi cui la credenza dette luogo nel 1630:
«Veggiamo i saggi Romani stessi, al tempo in cui erano rozzi, cioè l’anno di Roma 8 sotto Claudio Marcello e Cajo Valerio, attribuire la pestilenza che gli afflisse a’ veleni apprestati da una troppo inverisimile congiura di matrone romane».
Al tempo in cui erano rozzi: perché pare che, meno rozzi, tra loro più non sia insorta quella credenza.
E c’è da credere si fosse del tutto spenta nei secoli successivi, e fino al XIII e XIV, non ne troviamo traccia, infatti, nei cronisti, che pure abbondano di notizie sulle epidemie pestifere, del Due e del Trecento. Nelle loro pagine, le tremende epidemie non trovano altra causa che il volere di Dio o l’influsso degli astri; e la propagazione del morbo ad altro non è attribuita che agli scambi e ai viaggi.
Per tutti, Giovanni Boccaccio:
« [ … ] pervenne la mortifera pestilenza, la quale o per operazione de’ corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio [ … ] ».
La giusta ira di Dio o il movimento dei corpi celesti.
Quel che sappiamo quasi con certezza, qui ed ora, è che nel secolo XIV nessuno avanza il sospetto di una peste manufatta e diffusa, da persone convenientemente immunizzate, per decisione del potere (visibile o invisibile) o di una associazione cospirativa contro il potere o di un gruppo delinquenziale che si propone, nella calamità, più facile depredazione; mentre nel secolo XVII un tale sospetto non solo viene formulato ma arriva alla certezza medica e giuridica, tramandandosi – non piú, per fortuna, sul piano della scienza medica e leguleia – fino a un tempo cui arrivano i nostri ricordi.
Del colera del 1885-86 e della «spagnola», ultima mortale epidemia che si è avuta in Italia subito dopo la guerra del ‘15-18, abbiamo infatti sentito favoleggiare come di provvedimenti, per cosí dire, malthusiani; e della «spagnola», venuta dopo il grande macello della guerra, si diceva fosse effetto di un conto da cui ancora risultava eccedenza di popolazione, essendo la guerra, per errato calcolo, finita un po’ prima di quanto doveva: e dunque la correzione, da parte dei governi, per quel tanto, né più né meno, che ci voleva a far tornare il conto.
La convinzione che la mortalità fosse voluta e programmata dal governo era talmente radicata che ad opporvi il fatto che anche alti funzionari governativi ne morivano, la risposta era che avevano sbagliato bottiglia: che avevano cioè attinto al veleno invece che al controveleno (piú brevemente detto «contro» o «contra»).
Ma la peste che spopolò Milano nel 1630 non fu soltanto attribuita ai calcoli del governo, poiché i cattivi governi, quando si trovano di fronte situazioni che non sanno o non possono risolvere, e nemmeno si provano ad affrontare, hanno sempre avuto la risorsa del nemico esterno cui far carico di ogni disagio e di ogni calamità, l’opinione dei milanesi fu mossa contro la Francia, allora nemica alla Spagna dei cui domini lo Stato Milano era parte.
Ma la presenza, segnalata e mai individuata, degli agenti francesi, non spegneva del tutto il sospetto che lo stesso re Filippo IV, e coloro che a Milano, lo rappresentavano, avessero dato mano allo spopolamento e da ciò l’accanimento dei governanti e dei giudici, quando si trovarono davanti a coloro che la voce pubblica indicava come propagatori del morbo.
Tuttavia, la squallida personalità di costoro fece sì che l’opinione dei più piegasse sulla cospirazione non politica (interna o estera) ma delinquenziale: e che il gruppo degli untori ad altro non mirasse, seminando la morte, che al disordine e ruberie, ai saccheggi.
Leonardo Sciascia
Una città come questa
non è per viverci, in fondo: piuttosto
si cammina vicino a certi muri,
si passa in certi vicoli (non lontani
dal luogo del supplizio) e parlando
con la voce nel naso
avidi, frettolosi si domanda: non è qui
che buttavano loro cartocci gli untori?
[…] Vorrei cercare, e non solo per civetteria o per nostalgia, di legare anche questa fase diversa e più matura della mia poesia e della mia vita al luogo dove sono nato – alla mia città e, dentro la mia città, alla mia casa.
Poi, sul conto di via San Gregorio, la scoperta che, per un tratto, la via dove vivevo coincideva con il perimetro del Lazzaretto – il Lazzaretto della grande peste di Milano, quella di cui parla Manzoni nei Promessi Sposi e nella Storia della Colonna Infame. Un pezzo del muro di cinta del Lazzaretto è ancora visibile.
Grazie al Lazzaretto, al fatto di essere nato, per così dire, ai suoi margini, credo di essermi reso conto in un modo concreto, fisico – un modo che nessun libro, nessuna lettura mi avrebbe consentito – che la mia città non era solo quella che vedevo, case, strade, piazze, gente viva, ma era anche piena di storia, cioè di case, strade, piazze che non c’erano più e di gente che non era più viva, di gente morta. Mi sono reso conto, insomma, che la mia città visibile era piena di storia invisibile, e che questa storia era, a sua volta, piena di dolore, di minacce, di paura. Da quel momento, credo, è entrato nella mia poesia il tema della peste: peste metaforica, si capisce: peste come contagio e condanna, come circolarità e anonimato dell’ingiustizia.
Manzoni deve esserci, non può non esserci, nelle mie poesie – esserci, è chiaro, come un tenue, degradato riflesso, o solo come un rimorso.
Ma al di là di questa fede o, se si vuole, di questa petizione di principio, suppongo che sia possibile rintracciare qualche indizio, qualche elemento più oggettivo.
I temi dell’ingiustizia, della persecuzione, del processo iniquo, dell’innocenza ingiustamente perseguitata e punita; l’immagine, esplicita o implicita, della città come teatro della peste, come contenitore di ogni possibile contagio fisico e morale; il gusto di nominare luoghi, circostanze e documenti con scrupolosità impassibile e segreta passione; l’attenuazione, la reticenza e l’ironia usate per rendere pronunciabili l’indignazione, lo sgomento e la pietà: tutte queste cose (…) vengono, non ho dubbi, da Manzoni, sono le prove, le stigmate della mia passione manzoniana, della mia manzonità (o, parafrasando Gianfranco Contini: le spie d’attività, nel mio sentire e scrivere, della “funzione Manzoni”.
Giovanni Raboni
Barenghi, Camilleri, Sciascia, Natoli, Eco (video – link)
Storia della Colonna Infame – Liber Liber (audiolibro – link)