“Sì, credo di essere saggista nel racconto e narratore nel saggio.
Dirò di più: quando mi viene un’idea di qualcosa da scrivere, breve o lunga che sia, non so in prima se mi prenderà la forma del saggio o del racconto.
Persino Il Consiglio d’Egitto, che è forse il mio libro più raccontato, è in effetti un saggio [ … ] “
Sciascia è stato uno scrittore alieno da ansie compositive: il suo metodo di scrittura, da lui stesso descritto più volte in varie interviste e interventi, prevedeva una stesura diretta con la macchina da scrivere, su cui agiva azionando i tasti con un dito per mano, lentamente ma con una costanza che gli consentiva di completare 3-4 pagine al giorno; il giorno dopo riscriveva l’ultima pagina perché ritenuta la più “fiacca”.
I suoi fogli dattiloscritti (o i più rari manoscritti) sono perciò piuttosto puliti, avari di correzioni e ripensamenti, come sono pochissimi i casi di riscrittura di ampie porzioni di testo o di interi racconti.
E poi proprio perché poco frequenti, le correzioni e le varianti sono particolarmente interessanti, e rivelano spesso aspetti decisivi sul piano contenutistico (meno su quello stilistico, perché Sciascia non indugiava in formalismi e preziosismi).
Paolo Squillacioti
In Italia «si dorme con le porte aperte»: era questa una delle massime del regime, il culto dell’ordine, quale fondamento della propria credibilità politica.
Leonardo Sciascia, ispirandosi a una vicenda realmente accaduta nella Palermo degli anni Trenta, che vede come protagonista il giudice Salvatore Petrone, svolge una densissima e affilata meditazione sul tema della giustizia e si inserisce con forza ed autorevolezza in una nobile tradizione letteraria apertamente ostile alla pena di morte.
Palermo, 1937. Un uomo compie una serie di omicidi efferati: nello stesso giorno uccide la moglie, un collega di lavoro che ne aveva preso il posto nell’ufficio da cui era stato licenziato e il potente gerarca fascista che ne aveva deciso il licenziamento. Il regime è al suo apogeo, la pena di morte è stata reintrodotta nel 1926 per i colpevoli di attentati “contro la sicurezza dello Stato” ed è stata estesa ad alcuni reati comuni con il nuovo codice penale del 1930, il Codice Rocco.
Nonostante le cronache tacciano l’accaduto, l’opinione pubblica è a conoscenza dei fatti. Alla pressione politica si somma quindi l’indignazione popolare nell’esigere un provvedimento esemplare: la pena di morte. Ma il giudice a latere del processo è contrario per principio all’applicazione della pena capitale, così come uno dei componenti della giuria popolare, un agricoltore bibliofilo. Grazie al loro impegno, in primo grado l’imputato sarà condannato all’ergastolo, ma in appello giungerà la sentenza capitale. L’assassino verrà fucilato e il giudice vedrà la propria carriera compromessa per sempre. Dunque tutto è stato vano? No, perché secondo il giudice “è un principio di tale forza, quello contro la pena di morte, che si può essere certi di essere nel giusto anche se si resta soli a sostenerlo”.
Dopo Candido, Sciascia non si era più dedicato alla narrazione, impegnandosi in una lunga serie di importanti saggi d’inchiesta. Nel 1987, a dieci anni di distanza, si assiste però a un inatteso ritorno alla forma romanzo con Porte aperte. Tuttavia, evidenti sono le tracce saggistiche presenti all’interno dell’opera poiché, come racconterà Sciascia, permaneva l’intenzione di continuare sul solco produttivo dell’ultimo decennio.
Attraverso i numerosi inserti autoriali, complementari alla costante riflessione morale del giudice protagonista e alternati alla vera e propria narrazione di un processo, Sciascia costruisce un antiromanzo filosofico che, a partire dalla condanna della pena di morte, si allarga ai temi cardine dell’intero suo pensiero: il problema del giudicare, la violenza legalizzata e repressiva, la riflessione sulla vita e sulla morte, fino a intrecciare i piani della memoria storica con quella privata.
“Porte aperte” Gianni Amelio (1990)
Lungo il percorso
“Questo diario – non regolare, non assiduo, occasionale e precario piuttosto [ … ] al minimo la malignità; discrete le confessioni; molti gli appunti di lettura e rilettura; nessun ritratto, nessuna registrazione di incontri con persone degne di avere un ritratto.
Un libro, tutto sommato, molto italiano; forse molto siciliano.
Il titolo vuole essere parodistica risposta all’accusa di pessimismo che di solito mi si rivolge: la nera scrittura sulla nera pagina della realtà.”
Leonardo Sciascia
«Sherlock Holmes è troppo rigoroso, troppo tecnico. In compenso, però, mi pare di avere qualche tratto di Maigret; il colpevole non mi interessa, mi interessa invece studiare una situazione, un “contesto”. E poi, come dice Simenon, Maigret è un tipo che “sbircia sempre un po’ nel futuro [ … ]
Io vagheggio da sempre uno stato che abbia una polizia come quella guidata da Maigret, intelligente e umana al tempo stesso.”
Sciascia, oltre che uno studioso della grande tradizione dei racconti polizieschi, è stato un grande lettore e scrittore di gialli molto particolari e per nulla rassicuranti, vere e proprie indagini sulla società del suo tempo […]
Un’attitudine propriamente investigativa, che finisce dunque per essere basilare nella sua forma mentis e nel suo assetto di scrittura.
Il modello dichiarato del suo poliziesco impuro, sistematicamente privo di uno scioglimento positivo della vicenda, in cui la narrazione è puntellata da elementi saggistici e sostenuta da un forte afflato etico e civile.
Un genere peculiare e ben riconoscibile, al punto che Gabriel García Márquez, nel presentare “Cronaca di una morte annunciata” giunse a dichiarare: «Il metodo che ho usato, da investigatore del “giallo della società, da ricostruttore di storie, è simile a quello di Sciascia: l’aneddoto è soltanto il pretesto per radiografare un microcosmo sociale».
Ed ecco che, soprattutto dai quattro notevoli scritti dedicati a Maigret e al mondo di Simenon (che Sciascia dimostra di conoscere a menadito, e fin da anni remoti, in cui ben pochi erano disposti a riconoscere Simenon come uno scrittore di rilievo europeo, nonostante gli apprezzamenti pubblici di Gide), emerge la notevole somiglianza del metodo (poco metodico) di investigazione che Maigret ha in comune con molti personaggi di Sciascia, in primis l’ispettore Rogas del Contesto ma senza trascurare il Vice del Cavaliere e la morte (e per certi aspetti anche il cocciuto, onestissimo capitano Bellodi del Giorno della civetta).
“Un libro, dunque, è come riscritto in ogni epoca in cui lo si legge e ogni volta che lo si legge. E sarebbe allora il rileggere un leggere: ma un leggere inconsapevolmente carico di tutto ciò che tra una lettura e l’altra è passato su quel libro e attraverso quel libro, nella storia umana e dentro di noi.”
Leonardo Sciascia
Utilizzando la Storia come un gigantesco cruciverba in cui orizzontali e verticali sortiscano contatti e cortocircuiti tra eventi e personaggi distantissimi.
Ogni saggio è connotato da una figura, un tema o un tempo dominanti: ma, attraverso una rete disposta con un’erudizione pari solo alla naturalezza che la dissimula, ecco che decine di altre figure, altri temi, altri tempi vengono a materializzarsi sulla scena.
[ … ] in una fantasmagoria dove, ora sullo sfondo ora in primo piano, possiamo scoprire i segreti psicologici e iconologici del Ritratto d’ignoto di Antonello da Messina [ … ] e altro ancora … scritto con la dottrina di un enciclopedista e in una prosa duttile e trasparente […] la sua innata vocazione alla fabula, giacché questi saggi sono sotterraneamente mossi da un ritmo, da un montaggio, da una sapienza architetturale che soli appartengono all’arte del raccontare.
“Secondo me, è questo il punto, l’illecito arricchimento. Questa proposta va benissimo, ma bisogna allargarla, estenderla; il controllo, cioè, deve estendersi anche a noi, che stiamo su questi banchi, a coloro che siedono sui banchi del Senato, a coloro che siedono nelle assemblee regionali e nei consigli municipali, non trascurando nemmeno certi funzionari e certi ufficiali che hanno il compito di prevenire e reprimere appunto il fenomeno mafioso.”
Leonardo Sciascia, sul fenomeno della mafia (Seduta del 26 febbraio 1980)
Andrea Camilleri racconta l’esperienza parlamentare di Leonardo Sciascia, attraverso le interrogazioni parlamentari che lo scrittore di Racalmuto presentò, dalle file del partito radicale, tra il 15 dicembre 1979 e il 31 gennaio 1983. Camilleri, che a Sciascia fu legato da consuetudine e amicizia, ne mette in luce la passione politica autentica; la lucidità, l’approccio mai ideologico ma sempre ancorato a una analisi dei fatti acuta e spietata, comunque sempre scomoda e insofferente al potere. Gli argomenti di queste interrogazioni sono, tutti, di estrema attualità, allora come oggi; i casi di cronaca affrontati sono tuttora ferite aperte [ … ] Dalla voce di Andrea Camilleri, e dagli interventi di Sciascia emerge, insomma, un ritratto impietoso di un’Italia incapace di fare i conti con il proprio passato; e colpevolmente sorda alle parole di chi, con tutto il rigore della ragione, dimostrava di amarla.
” [ … ] mi sono sempre occupato di politica: e sempre nel senso etico. Qualcuno dirà che questa è la mia confusione o il mio errore: voler scambiare la politica con l’etica. Ma sarebbe una ben salutare confusione e un ben felice errore se gli italiani, e specialmente in questo momento, vi cadessero.”
Andrea Camilleri racconta Leonardo Sciascia (video – link)
Amici di Leonardo Sciascia (sito web – link)
Porte aperte – Lettura integrale di Bruno Crucitti (audio – link)
Gian Maria Volonté legge il racconto La rimozione (audio – link)
Una sera, che erano vicini a partire per Parigi e si sentivano come presi in un sogno, come dentro un sogno, Candido disse: – Sai che cos’è la nostra vita, la tua e la mia? Un sogno fatto in Sicilia. Forse siamo ancora lì, e stiamo sognando. –